il manifesto 16.7.16
Verdad, l’utopia è necessaria
Interviene. 
Lorena Canottiere è l'autrice della storia di una comune e di una 
miliziana anarchica. Una storia che parla di prede e predatori sui monti
 dopo la presa di Barcellona
di Virginia Tonfoni
Spagna 
pirenaica, anni ’20. Una bambina reclama alla nonna ancora disgustata 
dalla condotta della propria figlia, il diritto a conoscere la propria 
storia. Non a caso questa bambina, che ritroviamo pochi anni dopo a 
Barcellona con il fucile in spalla, pronta per partire e combattere tra 
le file della milizia anarchica, si chiama Verdad, come quella verità 
che è destinata a cercare e come la verità del monte Verità, la comune 
libertaria sui monti svizzeri dove è stata concepita. A raccontare in un
 romanzo disegnato, in libreria per Conino Press, la storia di questa 
donna combattente è Lorena Canottiere, autrice torinese, alla sua 
seconda prova con la narrazione lunga.
Verdad è la storia di un 
viaggio, un cammino interno di definizione, crescita e 
autodeterminazione. Da cosa hai tratto ispirazione per costruire questo 
personaggio?
È nato in maniera molto istintiva, e come talvolta 
accade, si è trattato di un imprevisto. Mi stavo documentando per 
raccontare un’altra storia, quando mi sono imbattuta nella vicenda della
 comune libertaria di Monte Verità, esistita nel primi anni del ’900 ad 
Ascona, in Svizzera da cui son passati moltissimi intellettuali e 
artisti dell’epoca come Herman Hesse, Otto Gross, Mikail Bakunin, vera 
fucina artistica di inizio novecento, dove si praticava il matriarcato, 
il vegetalianesimo, il nudismo. Monte Verità è rimasto come una postilla
 e come obiettivo ultimo del viaggio di Verdad. È poi subentrato il 
bisogno di rappresentare la battaglia contro il fascismo durante la 
Guerra di Spagna e tutto quello che ha rappresentato questo conflitto 
che ha visto coinvolte persone di tutto il mondo. Si tratta una storia 
contemporanea, solo in apparenza una vicenda storica e politica passata,
 che invece reclama bisogni molto attuali, come soldi e potere.
Monte
 Verità è un luogo dove l’utopia è stata realtà, e il viaggio verso 
questo luogo è esattamente il motore narrativo della storia. Però è 
anche il nome della protagonista che cerca di ottenere la propria 
verità, non avendo mai conosciuto la madre. Come hai messo in relazione 
questi due movimenti opposti?
Verdad si chiama così in onore e in 
memoria di questo luogo, la società utopica sulle montagne svizzere 
legata alla memoria della madre. Verdad ha un nome che è un controsenso,
 è la verità che ricerca, ma lei stessa si mette continuamente in 
dubbio, e anche quando raggiunge una meta continua a porsi domande. Il 
legame tra queste due dimensioni è creato nel testo da tavole che sono 
tecnicamente diverse e che rappresentano la leggenda della volpe 
vecchia; un inserto narrativo frammentato che svela come la protagonista
 insegua non tanto ciò che le ha lasciato la madre, né tantomeno quello 
che la guerra le permette di dimostrare, ma qualcosa di più profondo, 
che agisce a livello dell’inconscio ed è probabilmente legato alla 
ricerca del selvatico, dell’irrazionale, un atteggiamento tipico di 
coloro che non si accontentano di ciò che ci viene dato dall’esterno.
Queste
 parti alterano felicemente il ritmo narrativo della storia, le danno un
 respiro diverso, offrono una specie di controcanto al punto di vista di
 Verdad. C’è un significato simbolico nell’uso della volpe?
La volpe 
rappresenta il lato selvaggio che si oppone alla società rurale e chiusa
 dove a lei è toccato di vivere. Ovviamente è una storia che parla di 
prede e predatori, sostenendo che a un certo punto ognuno di noi scopre 
la sua indole, di preda o di predatore, che ne determina il destino: 
cercare di difendersi dal predatore, o tentare per sempre di attaccare 
la propria preda. Ci si uccide con le parole, in questa leggenda. La 
cosa curiosa è che mi è venuta a mente in sogno. Ho dovuto trascriverla 
appena sveglia perché mi sembrava perfetta per quello che volevo 
raccontare. La volpe è sia preda che predatrice e mi piaceva perché è 
selvatica, conserva la sua natura, ma interagisce con gli umani, per 
esempio quando fa visita nei pollai.
Dialettica preda predatore. Quanto questa dinamica, di chi cerca e di chi è cercato, serve allo sviluppo della protagonista?
È
 lei stessa a divenire preda e predatrice; dopo la battaglia persa, 
quando Barcellona sta per finire in mano ai fascisti, mentre tutti 
scappano per non essere giustiziati, le viene proposto dai suoi compagni
 di fuggire in Francia, riorganizzare la battaglia, continuare a 
lottare. Ma lei rifiuta, sceglie l’autoisolamento, si ritira solitaria 
in montagna-come molti partigiani faranno poi in Italia- ed è a questo 
punto della storia che capiamo che la sua battaglia è diventata 
qualcos’altro. Il nemico non è più Franco, non è più l’ideale, la lotta 
si rivolge verso di lei stessa poiché ha perso anche fisicamente, e 
rivolta a ciò che continua a cercare. Una battaglia che non finisce mai,
 che si allarga esponenzialmente nella sua ricerca e richiesta di 
verità.
Sembra che le bombe della storia, esplodano anche tra le 
pagine del libro, nel quale utilizzi una palette abbacinante e fai 
sfoggio di una tecnica sorprendente.
Non ho usato il nero, tranne che
 nelle parti della leggenda di cui parlavamo, che è fatta a grafite e 
matite, aggiungendo il rosso e il blu. Ho lavorato manualmente e in 
digitale. Le tavole in cui Verdad è adulta sono realizzate con 
l’acrilico giallo e rosso, e l’azzurro è aggiunto al computer. Nelle 
parti dell’infanzia della protagonista, la tecnica è la stessa, ma ho 
utilizzato i pastelli al posto dei pennelli, per distinguere i 
flashblack. La scelta cromatica dei tre primari invece è stata 
fortemente influenzata dalla documentazione raccolta per il libro, i 
manifesti di propaganda dell’epoca erano in gran parte serigrafie e 
spesso realizzate con questi colori.
«La utopia es necesaria», si legge nel frontespizio del tuo libro. Quanto è necessaria l’utopia nel mestiere del narratore?
Totalmente
 necessaria. Riesco a scrivere solo estraniandomi, togliendo tutte le 
regole che ho rispettato fino a quel momento, per cui ogni narrazione è 
ricerca, un mondo da scoprire. Se non c’è un castello in aria non ha 
senso raccontare, anche quando si parla del quotidiano, soprattutto di 
quello. Proprio quando si conosce una realtà a fondo, è necessario 
andare oltre per poterla rappresentare. La frase nel frontespizio è di 
un falsario anarchico che aveva il sogno di sovvertire lo stato sociale 
mondiale stampando talmente tante banconote false da far saltare il 
sistema monetario.
Il viaggio verso utopia è il motore della narrazione; Verdad conclude dicendo che l’importante è che non sia stato inutile.
Certo,
 non è mai inutile: una dose di utopia e se vogliamo di dadaismo è 
necessaria in ogni gesto, se vogliamo continuare a vivere in modo reale.
 Nell’ultima vignetta di Verdad c’è una nuova volpe che agguanta una 
preda, ma non è la stessa che abbiamo visto nel resto della storia: è un
 altro animale, come a indicare che la ricerca dell’istintività, della 
selvaticità non si conclude mai.
Come nella lotta si alzano i canti, 
nel libro esiste una colonna sonora che si può ascoltare e scaricare da 
soundcloud (https://soundcloud.com/stefanorisso/sets/verdad/s-lgCd5)
Tutti
 i movimenti popolari sono accompagnati da canti di protesta che non 
solo raccontano in maniera viscerale una parte di storia autentica dal 
punto di vista dei diretti protagonisti, ma spesso sono stati anche veri
 motori per intere battaglie. Mi sembrava scorretto prescindere 
completamente da quest’elemento sonoro e narrativo, ma non volevo che 
fosse una raccolta di canti popolari, ma piuttosto una colonna sonora, 
come quella di un film, un bordone che accompagnasse tutti i momenti, 
esaltandone quelli salienti e quelli più emotivi. Per la prima volta 
nella mia vita, ho lavorato con il mio compagno, Stefano Risso, che ne è
 il compositore.
 
