Il manifesto 16.7.16
Il ’quesito’ della sinistra italiana
Roma. Oggi l’assemblea ai Frentani, è scontro a bassa intensità, ma pesano già gli abbandoni
di Daniela Preziosi
ROMA
 Il clima, l’umore, i sentimenti sono quelli del lutto e del cordoglio 
dopo una settimana di avvenimenti tragici che tolgono senso alle beghe e
 ai conflitti di piccolo cabotaggio della politica, se mai hanno senso. 
In condizioni ’normali’, dopo la strage del treno di Andria – erano solo
 tre giorni fa – e l’ecatombe di Nizza della notte fra giovedì e 
venerdì, l’assemblea nazionale «aperta» di Sinistra italiana (oggi a 
Roma dalle 10 al Centro Congressi Frentani, anche in diretta streaming) 
sarebbe stata rimandata a dopo le giornate del lutto. 
Ma
 ’condizioni normali’ non sono per la sinistra italiana, minuscola e 
maiuscola, dopo la batosta (quasi ovunque) delle comunali, le polemiche.
 E gli abbandoni. Oggi a Roma infatti si conteranno le presenze, perché 
la partecipazione è sempre un termometro per la salute di un corpo vivo.
 Ma si noteranno le assenze. Alla vigilia dell’appuntamento romano si è 
ritirata la colonna sarda del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e del 
senatore Luciano Uras, renitenti alla leva in Si. Al loro posto hanno 
inviato un documento che chiede le dimissioni di tutto il gruppo 
dirigente («hanno fallito) e il ritorno all’originaria Sel. Ipotesi 
impraticabile, però: è un partito mezzo vivo e mezzo morto, tecnicamente
 parlando, o comunque in via di decomposizione almeno a livello 
nazionale – il tesseramento è chiuso e dirottato verso la nuova creatura
 -. Non a livello locale, invece, dove gli organismi di Sel continuano a
 vegetare, se non a vivere.
Non ci sarà neanche l’ex segretario Cgil e
 padre fondatore di Si Sergio Cofferati: se n’è andato senza clamore ma 
in dissenso profondo con la piega che prende il gruppo dirigente, a suo 
parere troppo chiuso: «Non si discute su niente, le poche decisioni si 
prendono in pochi, senza un minimo di confronto», ha spiegato ai 
compagni ai quali ha comunicato la sua dolorosa decisione. Argomenti 
riecheggiati alla riunione dei parlamentari due giorni fa. Con toni 
ruvidi. E in un post al vetriolo di Massimiliano Smeriglio, 
vicepresidente del Lazio e capofila del ’documento dei 100’ e cioè 
quelli preoccupati per l’avvitamento a sinistra: «Chi ha l’ambizione di 
fare il leader dovrebbe avere l’autorevolezza, la forza e persino 
l’astuzia di includere. Se ogni volta che si critica una fase 
costituente che i sondaggi quotano al 2,7%, si allude all’intelligenza 
con il nemico siamo alla frutta», «volevamo la partecipazione, 
assistiamo a pratiche da buttafuori».
Le distanze sono forti, se ci 
si parlasse chiaro. Ma alla vigilia dell’appuntamento, e cioè ieri, la 
discussione è stata tutta ricalibrata alla luce dell’orrore della 
cronaca «per evitare un dibattito surreale», c’è chi spiega sennatamente
 all’uscita del comitato esecutivo.
La relazione di apertura sarà 
dell’ex Pd Alfredo D’Attorre, un deputato pacato che però ha firmato un 
appello per la ’Lexit’, l’uscita da sinistra dall’euro, insieme a 
Stefano Fassina. Il documento che verrà approvato a fine giornata è 
stato condiviso all’unanimità dall’esecutivo (dopo qualche scontro) e 
sfuma con prudenza la questione cruciale del dopo-referendum. «Solo con 
la vittoria del No si può riaprire la costruzione di una proposta 
progressista per il governo del Paese», dice. Ma naturalmente «non si 
tratta di tornare al vecchio centro-sinistra dei vincoli e delle 
compatibilità europee», «non si costruisce il “nuovo futuro” senza 
riconoscere i gravi limiti di quella stagione». Una formulazione che 
evita un inutile frontale sulla questione delle alleanze. Perché se 
vince il No Renzi andrà a casa e tutta la geografia politica sarà 
diversa, cosa che naturalmente non significa automaticamente il ritorno 
al centrosinistra o l’appoggio a un eventuale governo di scopo. Se vince
 il Sì il Renzi del ’partito della nazione’ ne uscirà di molto 
rafforzato, tanto da rendere impraticabile qualsiasi idea di alleanza a 
sinistra. Inutile rompersi la testa, meglio procedere a pancia a terra 
con i comitati per il No e puntare alla cancellazione della riforma 
costituzionale (e la caduta del governo).
 
