il manifesto 14.7.16
Rodotà: «Renzi spersonalizza? Allora la smetta di falsificare»
L'intervista.
Il giurista parla delle riforme e del referendum: il presidente e i
suoi sono un ceto politico divisivo e inadeguato. Cambia l’Italicum
contro M5S? È l’uso delle istituzioni per regolare i conti interni. Come
Cameron. Ma per lui è stato un boomerang. La coalizione sociale è
andata male, i beni comuni ripartono dalle città. Ma ora la sinistra si
mobiliti per il No
intervista di Daniela Preziosi
ROMA
Professor Rodotà, Renzi sembra essersi emendato sulla
’personalizzazione’ del referendum e aver cambiato verso sulla legge
elettorale: dopo aver imposto la fiducia, ora dice che il parlamento è
libero di decidere. Ci crede? O è solo tattica, una finta per
rilanciarsi?
In questi giorni Renzi sembra in difficoltà. Dire
’sulla legge elettorale si vada in parlamento’, visti i trascorsi, è
significativo del modo in cui intende muoversi. Siamo alla
contraddizione quotidiana. Ma alla fine è il sintomo di una regressione
culturale, e lo dico anche se di cultura fin qui se n’è vista poca da
parte sua e del suo ceto politico. Le riforme hanno chiari elementi di
conservazione: non ’aprono’, non vanno nella direzione del cambiamento
democratico. E la cultura di quel ceto politico è inadeguata alle
domande che vengono dalla società, dallo stesso ceto politico e persino
dai conflitti dentro il Pd.
Le domande della società sono quelle avanzate dal ricambio emerso alle comunali?
Il
ceto politico inadeguato che si è presentato alle elezioni non poteva
ottenere consenso da parte dei cittadini che si erano allontanati dalla
linea del Pd. La risposta politica è stata marcata. Senza enfatizzare,
basta guardare come si è distribuito il voto fra il centro e le
periferie. Renzi l’innovatore ha fallito sul terreno in cui si
dichiarava forte, l’incontro con la società.
Per Renzi il
referendum può diventare un boomerang, come lo è stato per Cameron
quello sul Brexit? E però nel voto di Londra non ci sono molti elementi
progressivi.
Il parallelo con la mossa di Cameron sta nella
furberia di usare un referendum per chiudere i conti nel proprio
partito. Intendiamoci, in politica non è una novità. Quando in Francia
ci fu il referendum sul Trattato costituzionale, io da estensore della
Carta dei diritti fondamentali partecipai alla campagna per il Sì. Ma
una serie di parlamentari socialisti con cui avevo lavorato molto mi
spiegarono che votavano no: «Perché Fabius gioca una sua partita nel
Ps». In questi anni si è venuto manifestando, non solo in Italia, un uso
delle istituzioni legato sempre più a regolare conti interni. Il voto
su Brexit ne è un esempio. Ma è sbagliato e pericoloso. Renzi non si
preoccupa della divisione che promuove nella società. Invece la massima
preoccupazione dei Costituenti fu che nella Carta si riconoscesse il
maggior numero di soggetti politici e di cittadini, tant’è che quando De
Gasperi escluse socialisti e comunisti dal governo non ci fu nessuna
reazione aggressiva, si andò avanti lo stesso. Qui stiamo all’opposto, a
conferma l’inadeguatezza del ceto politico. Hanno un problema con i 5
stelle, hanno bisogno di Alfano per sopravvivere, allora cambiano la
legge elettorale. Gestiscono i conflitti politici con l’uso
congiunturale delle istituzioni. Tutto è appiattito sul giorno per
giorno.
Renzi è divisivo e felice di esserlo?
Del resto lui
da subito ha puntato sulla divisione. Cos’altro è la rottamazione se non
un’esclusione? Chi non accetta la mia linea lo escludo. Con parole
aggressive e una continua falsificazione della realtà. Potrei parlare
dell’informazione falsificata sulle proposte di Zagrebelsky, Onida,
Azzariti e mie. Ma hanno persino falsificato la posizione di Pietro
Ingrao della «centralità del parlamento».
Oggi invece Renzi e Boschi dicono: «discutiamo di merito», «spersonalizziamo».
Spersonalizzare
non può, non può più se non abbandona le falsificazioni. E allora: non
c’è alcuna semplificazione del procedimento legislativo. I risparmi
sbandierati sono una strizzata d’occhio alla peggiore antipolitica, e
comunque potevano esser fatti in maniera più efficace. Non sappiamo
ancora come verranno selezionati i senatori. E ancora: dire che se non
si vota sì non ci sarà più la possibilità di riformare la costituzione è
un altro argomento falso. Quando si dà la voce ai cittadini, i
cittadini debbono avere piena libertà di manifestare la loro opinione.
Il
centro studi di Confidunstria calcola che la vittoria del no farebbe
perdere al paese 4 punti di Pil e 600mila posti di lavoro. Anche il
Fondo monetario prevede sfaceli.
La drammatizzazione è un altro
modo di non entrare nel merito. Avverto che chi dice così non è in grado
di analizzare la società italiana. Come chi dice che con il no l’Italia
non avrebbe più un governo. In caso di dimissioni di Renzi c’è un
passaggio costituzionale obbligato: il presidente Mattarella dovrebbe
accertare se c’è un’altra maggioranza.
Intanto Renzi cerca di
portare dalla sua qualche forza politica promettendo il premio di
maggioranza alla coalizione, nell’Italicum.
È un tentativo un po’ ingenuo all’indirizzo di chi cerca un alibi per votare sì.
Anche
perché quello che viene contestato all’Italicum davanti alla Consulta è
il premio di maggioranza, non a chi viene attribuito.
Sull’Italicum
non serve una modifica qualsiasi. I problemi aperti sono in primo luogo
quelli legati alla sentenza sul Porcellum che riguarda la
rappresentanza dei cittadini, l’Italicum tende a mantenerla bassa per il
modo in cui è organizzata la scelta del capolista e di come sono
selezionati i candidati. Ma siamo di nuovo all’uso congiunturale delle
istituzioni. L’Italicum nasce quando la parola d’ordine di Renzi era un
Pd al 40 per cento. Oggi che i dati sono cambiati, cambiano la legge:
per costruire una coalizione che fronteggi il M5S e per tenere insieme
il centrodestra.
I 5 stelle dunque hanno ragione a dire che è una mossa contro di loro?
Ma
è evidente. Intendiamoci, nessuno scandalo: è chiaro che le leggi
vengano fatte dalle maggioranze per vincere. Contro Le Pen Mitterrand
introdusse un elemento di proporzionalità alla legge francese. Ma c’è
una soglia di decenza che non dovrebbe essere superata.
Lei è favorevole allo ’spacchettamento’ del quesito?
Ho
molte riserve. Sono stati messi in evidenza i problemi tecnici. E c’è
il rischio che il legame fra la riforma costituzionale e la legge
elettorale venga ricacciato sullo sfondo.
Ma dalla parte opposta,
il fronte del no coglie la debolezza di Renzi? La mancata raccolta delle
firme, anche sul quesito dell’Italicum parla di una scarsa
mobilitazione oppure di una scarsa consapevolezza della posta in gioco?
Questo
problema c’è. In questo momento è assolutamente indispensabile
accentuare il lavoro sul versate del no. E mettere in evidenza i
conflitti e le contraddizioni di cui abbiamo parlato.
C’è una
coincidenza sfortunata, che forse coincidenza non è: proprio in questo
momento la sinistra è debole, infiacchita dall’insuccesso delle
amministrative, e nel pieno di uno stallo organizzativo.
Non c’è
dubbio. Ma su questo non ho una risposta sbrigativa. Avevamo lanciato la
Coalizione sociale sull’idea che non fosse sufficiente mettere insieme
le forze già esistenti più o meno riferibili alla sinistra. Serviva un
passo in una direzione più larga. Il tentativo non è andato bene.
Dobbiamo discuterne perché, per esempio, contemporaneamente invece sono
successe cose importanti: la Cgil ha raccolto le firme che annunciano
una stagione referendaria importanti su grandi questioni.
Perché la Coalizione sociale di Maurizio Landini non è andata bene?
Ci
rifletto da qualche tempo. Certo le forze politiche organizzate non
sono state generose. Non avrebbero dovuto fare un passo indietro ma
aprirsi a un altro modo di lavorare.
E come potevano i partiti non fare un passo indietro? Lei all’epoca li aveva definiti «zavorra».
Può
darsi che l’espressione non fosse felice. Ma ero convinto che se non si
parlava chiaro le forze politiche avrebbero portato in quella nuova
esperienza i loro fallimenti passati. E non c’è bisogno di ricordarli,
da Ingroia all’Arcobaleno. Ora, da spettatore, guardo all’iniziativa di
Cosmopolitica. Ma aspetto di vederne il contenuto reale.
Nelle
città invece un ricambio c’è stato. A Torino e Roma hanno vinto i 5
stelle, a Napoli De Magistris. Succederà che non sarà la sinistra
’storica’ a rilanciare un’idea concreta dei beni comuni?
Le città
sono i luoghi della creazione dei beni comuni. Il rapporto fra i diritti
fondamentali delle persone e i beni perché questi diritti vengano
organizzati. Bisogna creare le istituzioni dell’eguaglianza, che sono i
beni comuni, della redistribuzione delle risorse. E rilanciare la
discussione sul reddito garantito, che è difficile ma non può essere
liquidata dicendo che non ci sono i soldi.
Veramente Renzi ha chiuso il discorso sul tema sostenendo che il reddito di cittadinanza è incostituzionale.
Renzi
ormai può dire qualsiasi cosa. C’è una lettura dell’articolo 1 della
Costituzione che va in tutt’altra altra direzione. La sua è
un’affermazione sbrigativa che non coglie né gli aspetti istituzionali
né quelli sociali della questione. Torniamo al punto di partenza: Renzi e
i suoi hanno una cultura del tutto inadeguata alle domande che vengono
dalla società.