il manifesto 14.7.16
Solo il No può scardinare il blocco renziano
di Massimo Villone
Come
accadde a Paolo di Tarso, una intensa luce ha avvolto Renzi e gli ha
ispirato nuove consapevolezze. L’Italicum è rimesso alla volontà
parlamentare. Il referendum costituzionale, già anticamera
dell’apocalisse, si trasforma in un picnic per famiglie. Nessuna
certezza sul destino del premier nel caso di sconfitta. Di lasciare la
politica non se ne parla. Di dimissioni, chissà. Ma sempre con un occhio
alla possibilità di un rinvio alle Camere da parte del Capo dello
Stato, o di un reincarico.
Dunque, contrordine, compagni. E va in
soffitta lo spacchettamento, che a poche ore dalla scadenza del termine
per la raccolta delle firme dei parlamentari non riceve l’endorsement di
Renzi.
Come mai, visto che i quesiti parziali avrebbero potuto depotenziare la deflagrazione referendaria?
Dobbiamo
considerare – senza alcuna censura per le buone intenzioni dei
proponenti – che lo spacchettamento produrrebbe oggi l’effetto di
rinviare a data lontana e incerta il referendum. I quesiti parziali sono
infatti preclusi dall’art. 16 della legge 352/1970. Quindi la
presentazione potrebbe condurre solo a un diniego da parte della
Cassazione. Avverso il diniego i parlamentari promotori potrebbero
sollevare conflitto tra poteri davanti alla Corte costituzionale, e in
sede di conflitto sollevare una eccezione di incostituzionalità sulla
legge 352/1970. L’obiettivo sarebbe una dichiarazione di illegittimità
della legge «in quanto non prevede» la presentazione di quesiti
parziali. Questo sarebbe oggi l’unico modo – al di fuori di una leggina
modificativa della l. 352 – di consentire quesiti parziali. Un percorso
complesso e lungo, tale da impedire un voto a breve termine, e comunque
togliere al governo la scelta di votare nel momento ritenuto più
opportuno.
Emerge invece dal confuso chiacchiericcio politico di
questi giorni che il vero tema è l’Italicum. Non crediamo affatto che
Renzi intenda davvero aprire a una libera discussione parlamentare. E
dalle modifiche che lascerà passare, capiremo se e fino a che punto
tiene il disegno di accentrare il potere sull’esecutivo e su se stesso.
È
probabile un disco verde sull’apertura alla coalizione e agli
apparentamenti tra primo e secondo turno per il premio di maggioranza. È
una limatura che non tocca l’impianto essenziale della legge e accoglie
le richieste degli alleati minori di governo e della minoranza interna.
Facilita il ricompattamento del centrodestra, mentre accresce la
competitività verso M5S, che sceglie sempre e comunque la corsa
solitaria.
Del tutto improbabile, invece, un disco verde per la
soppressione del ballottaggio. L’impianto tripolare ormai consolidato
del sistema politico comporterebbe o un abbassamento della soglia per
l’attribuzione del premio, con il rischio di una nuova censura di
incostituzionalità, o il passaggio a un sistema proporzionale nel caso
di mancato raggiungimento. Questo farebbe venir meno il blocco di 340
parlamentari garantito dal premio di maggioranza che è essenziale nel
Renzi-pensiero. Poco rileva che sarebbe ottima cosa per la buona salute
della Repubblica.
Improbabile la soppressione del voto bloccato
per i capilista. Quella pattuglia di un centinaio di fedelissime teste
di cuoio fa comodo a chi fa le liste – leggi: il segretario del partito –
per assicurare il controllo sull’aula parlamentare. Vale poco
l’argomento che ad essi si aggiungono 240 eletti con la preferenza. I
cento collegi plurinominali previsti dalla legge sono piccoli, e le
liste di candidati sono corte. Consentono a chi fa le liste di formarle
distribuendo candidati più o meno forti in modo da predeterminare in
larga misura l’esito elettorale. Anche con le preferenze, il piccolo
collegio plurinominale permette a un segretario di partito che conosce
il suo mestiere di costruire un blocco solido di parlamentari a lui
legati da un vincolo di obbedienza e fedeltà.
La chiave di volta
del potere nel Renzi pensiero è nel controllare le liste dei candidati
prima, controllare la Camera poi con la maggioranza blindata dei 340.
Qui troviamo un punto su cui Renzi ha già innalzato, e certo manterrà,
le barricate: l’unione personale tra segretario del partito e presidente
del consiglio. Dalla carica di segretario non lo smuoveranno nemmeno a
cannonate. È questa sinergia che crea la concentrazione del potere
sull’esecutivo e costruisce il potere personale del leader. Non si
coglie guardando alla sola riforma costituzionale, e viene tradotta da
alcuni nella ipocrita formula della “democrazia decidente”.
Il
referendum costituzionale è la sola carta disponibile per riaprire il
confronto in nome della democrazia senza aggettivi, con buona pace di
chi nei partiti e nei sindacati si ostina a non volerlo capire. La
ministra Boschi dice che con 5 anni di stabilità non ci sono più alibi
per chi governa. E può sembrare una buona cosa. Ma perché mai dovrebbero
interessarci gli alibi? Ci preoccupano piuttosto i danni che un potere
blindato avrà prodotto, senza che nessuno potesse impedirlo.