il manifesto 14.7.16
La sinistra riparte ma dagli addii
Il
nuovo partito. Cofferati lascia in silenzio. Il nuovo partito perde un
fondatore. «Non si fanno le tessere, non si discute, sull’Europa io
neanche consultato»
L’ex segretario Cgil non sarà all’assemblea nazionale di sabato a Roma. Che nasce già segnata dalle divisioni
Con
Zedda e il senatore Uras in 300 dalla Sardegna per le dimissioni del
gruppo dirigente e il ritorno a Sel. Fratoianni: «Un dibattito surreale,
rimuovono Renzi»
Sergio Cofferati con Stefano Fassina al congresso di fondazione di Sinistra
di Daniela Preziosi
ROMA
Sergio Cofferati lascia il partito che voleva fondare, quello che nella
sua idea – ma anche in quella dei suoi compagni ex Sel Fratoianni e De
Cristoforo, ed ex Pd Fassina e D’Attorre – doveva essere aperto e
cosmopolita: accogliere la diaspora degli iscritti democratici sfiniti
da Renzi, riunire i giovani dei movimenti non ipnotizzati dalle 5
stelle, e rimettere insieme le anime perse della sinistra dei partiti e
della militanza, insomma la «nuova cosa» che dalle ceneri della
vendoliana Sel voleva essere «il partito oltre il partito» come si
giurarono reciprocamente alla kermesse «Cosmopolitica», a febbraio, da
Casarini a Pisapia ai sindacalisti della Cgil in un’allegra babele di
storie passate con l’intenzione di farle passare davvero.
L’ex
segretario della Cgil, oggi europarlamentare indipendente del Gruppo
Socialisti e democratici, quello dello scontro con il D’Alema blairiano
degli anni 90, quello dei tre milioni al Circo Massimo contro l’articolo
18 nel 2002, l’uomo della speranza del Correntone poi ’ritiratosi ’ a
fare il sindaco di Bologna, e infine pochi mesi fa quello che ha
lasciato il Pd e ha guidato alle regionali della Liguria la
sinistra-sinistra portandola alla soglia del 10 per cento, se ne va. In
sordina. Non sbatte la porta, declina con cortesia e fermezza le
interviste, ultimo gesto di affetto verso la creatura politica neonata
ancora non nata.
Ma chi ci ha parlato in questi giorni ha saputo
come la pensa. E ci hanno parlato i militanti che dalle regioni, a
partire dalla Liguria, lo hanno chiamato per partecipare alle
iniziative. E si sono sentiti rispondere no. Perché, è il ragionamento
riferito, «il percorso che avevamo deciso in Sinistra italiana non è
stato programmato, quindi non si è fatto», e «non si discute su niente,
le poche decisioni si prendono in pochi». Prendi ad esempio l’Europa.
Stefano Fassina ha esposto le sue tesi per esplorare «il “Piano B” per
il superamento assistito dalla Bce e dalle altre banche centrali
dell’assetto monetario», specifica «per l’intera eurozona, non l’uscita
dall’euro in via unilaterale per un singolo Stato». Ma nel gruppo
dirigente nessuno ha sentito il bisogno – o la responsabilità, o persino
la convenienza – di allargare la discussione, coinvolgere l’unico
europarlamentare di Sinistra italiana, insomma «un minimo di confronto».
Poi c’è «la stasi», la maniera certa per far fallire il congresso
fondativo in programma per dicembre. Un grido di allarme che Cofferati
aveva lanciato a giugno sul manifesto. «Senza iscritti e senza congresso
restiamo in una fase delicata di democrazia sospesa. Questo tempo va
ridotto. Conosco la fatica di questo lavoro. Ma il fatto che non sia
iniziato è inquietante. A settembre c’è la campagna referendaria. Come
si farà il congresso a dicembre se prima di ottobre non ci saremo dati
il tempo di iniziare la discussione?», aveva detto.
E poi, ancora,
c’è il futuro non lontano delle prossime amministrative. Quelle appena
celebrate sono andate male. Il prossimo anno ci sarà una nuova tornata,
nella sua Genova c’è – ci sarebbe – Marco Doria da riconfermare. «Ma
prima devi decidere chi sei, cosa vuoi fare. E sì, eventualmente, quali
alleanze vuoi fare. Non discutere fa perdere anche il buon senso», ha
spiegato ai suoi compagni genovesi che gli chiedevano lumi. «Così il
progetto che ci siamo dati di fatto è irrealizzabile», è la conclusione
sconfortante. Cofferati dunque non sarà all’«assemblea nazionale aperta»
convocata sabato a Roma.
Che già parte a cattiva stella. Ieri il
quotidiano Repubblica ha anticipato il documento firmato da 300
dirigenti sardi guidati dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda e il
senatore Luciano Uras che chiede le dimissioni del gruppo dirigente di
Si e il ritorno a Sel. La risposta è un silenzio pneumatico, parla solo
Nicola Fratoianni, che molti indicano come il futuro segretario: «Mi
colpisce la rimozione, quasi psicologica di questa posizione. Mentre
ripropone il ritorno a Sel e al centrosinistra cancella le ragioni che
rendono quella stagione superati», dice al manifesto. «Zedda e Uras
rimuovono il governo Renzi, le sue politiche, dal jobs Act alla scuola.
Così il dibattito diventa surreale. Intanto bisogna sconfiggerlo al
referendum. Siamo d’accordo su questo?». Uras replica sdegnato: «Ho
fatto una battaglia contro la riforma costituzionale al senato, ho
votato no e voterò no».
Non è che l’inizio. Ma prima dell’inizio
la sinistra promessa perde già i pezzi. E pezzi forti, come Cofferati.
Con il dubbio, un tormento, che perdere per strada uno con la sua storia
significhi aver perso la strada.