martedì 12 luglio 2016

il manifesto 12.7.16
La pancia delle promesse
La filosofa femminista Luisa Muraro, in occasione della presentazione del suo libro «L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto», a Reggio Emilia
«Non avverso per principio la pratica della surrogata, dipende sempre dai casi, ma chi partorisce un bambino non può essere costretta a rinnegare né deve sparire dall’orizzonte. Dovrebbe continuare a avere il diritto di conservare il titolo di madre»
intervista di Clelia Mori

L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto (pp. 82, euro, 8, 50, edizioni La Scuola) è il titolo dell’ultima opera di Luisa Muraro, filosofa femminista, in cui viene affrontato il tema spinoso della «maternità surrogata», analizzato criticamente alla luce di un neoliberismo culturale che predica la totale disponibilità del corpo della donna. Il libro, presentato nei giorni scorsi in un incontro pubblico alla Cgil di Reggio Emilia, organizzato dalla Camera del lavoro e dal gruppo di lettura «6Donna Reggio Emilia», ha fornito l’occasione per una riflessione approfondita sul tema dell’utero in affitto, considerato come la forma più attuale di sfruttamento del corpo femminile.
Un testo, quello di Luisa Muraro, che diventa anche uno strumento utile per comprendere il dibattito che sta investendo la politica, il diritto, l’etica e la famiglia.
Nel suo libro, lei propone argomentazioni a favore e contro l’utero in affitto: qual è la criticità maggiore che la gestazione per conto di altri porta con sé?
Io non sono contro l’utero in affitto: sono però convinta che la questione vada discussa, e che si debbano creare le condizioni affinché la pratica sia fattibile. La maternità surrogata sta diventando un business odioso, la Svezia si è tirata indietro proprio per questo motivo, mentre su un quotidiano come l’inglese Guardian è di recente apparso un articolo che sostiene come la maternità surrogata sia sempre sfruttamento delle donne. La questione è aperta: bisogna capire gli elementi di sfumatura, saper argomentare e non chiudersi dentro schieramenti.
Tra le posizioni critiche, c’è quella secondo cui tra la donna gravida e la creatura che si va formando in lei si stabilisce un legame che non appartiene al contratto sociale, ma è ben più profondo e importante, è nel farsi del corpo, nella corporeità evidente. Programmare in anticipo di rompere quel rapporto con un contratto commerciale è qualcosa che provoca disagio.
Nella sua riflessione, si possono rintracciare anche elementi che non tendono a demonizzare la pratica della maternità surrogata. Ce ne può indicare almeno uno?
Se ci sono le condizioni di possibilità – e a volte queste si manifestano – che una donna dia un contributo alla procreazione di terze persone e possa rimanere nel mondo con il suo titolo di madre – che è quello che attiene a ogni donna che partorisce un bambino, non deve quindi rinnegare né rinunciare o sparire dall’orizzonte, ma conservare quel titolo – bene, in questo caso, ritengo che la surrogazione si possa fare. Non sono d’accordo, quindi, con la legge 40 che vieta in assoluto l’utero in affitto: non si possono decidere per legge queste cose. Bisogna parlarne, pensarci e valutare di volta in volta il caso, con l’ausilio di un’autorità adeguata, anche se, purtroppo, abbiamo solo l’autorità giudiziaria. È fondamentale favorire la possibilità di un ragionamento per operare poi una scelta. Non si può pretendere di arrivare subito a fare leggi che si limitino semplicemente a proibire qualcosa.
Come va interpretato allora un percorso legislativo sulla gestazione per altri?
La legge, purtroppo, esiste già e un referendum abrogativo non ha funzionato. La magistratura, in parte, l’ha corretta, ma non possiamo procedere in questo modo, con normative che poi devono essere «riviste» dalla magistratura. È necessario fare un passo indietro ed è qualcosa che auspico per tutti, bisogna smettere di sventolare diritti a destra e sinistra. Ci vorrebbe una capacità di parlare di simili argomenti in maniera più approfondita, perché i progressi tecnici su queste materie sono enormi e gli interessi del mercato vanno nell’unica direzione del diritto e non rappresentano certo il migliore aiuto per capire, anche in futuro, come regolarsi.
Ritiene realistico che, in un paese come l’Italia, la gestazione per altri possa essere uno strumento di sfruttamento del corpo femminile a fini economici?
Sì, quando ci sono i soldi di mezzo – e qui sono tanti – va considerato sempre sfruttamento. È come per la prostituzione libera, che comunque ha intorno a sé un giro di malaffare, sfruttamento e schiavismo che nessuno riesce a controllare.
Il suo testo considera soprattutto le donne come interlocutrici, eppure oggi la surrogata consente anche a coppie omosessuali maschili di diventare padri e madri. Perché non ha considerato queste nuove figure genitoriali e non ha affrontato tale problematica nel libro «L’anima del corpo»?
Ci sono anche molti uomini omosessuali che militano contro la surrogata perché la ritengono che sia una risposta sbagliata. Io, in linea di massima, anche rispetto al problema delle coppie omosessuali maschili, sono in primo luogo perché si distinguano da quelle omosessuali femminili e si faciliti la strada della genitorialità congiunta, così non dovranno ricorrere alla surrogata. Per le coppie maschili, invece, bisognerebbe favorire la possibilità di un’adozione, cioè di una omoparentalità o omogenitorialità, considerata di volta in volta, a seconda dei casi.
Va ricordato che in queste materie, prima ancora delle sentenze del giudice o delle leggi, sono previsti dei percorsi da fare, percorsi di civiltà che riguardano usi e costumi: l’Italia, in tal senso, è stata saggia a non sancire matrimoni omosessuali. Il matrimonio ha millenni di storia ed è stato ideato per un uomo e una donna. Il nostro paese ha scelto questo itinerario, mentre la Francia ha istituto il matrimonio omosessuale, salvo essere poi sanzionata. Esistono cammini di maturazione: non è attraverso le combinazioni politiche in Parlamento, fatte spesso in gran velocità, che si affrontano tematiche di questa portata. Il mio suggerimento è quello di avvicinare tra loro la surrogata alla legge dell’adozione, e vedere se poi si aprono altre strade.
L’idea è semplificare il percorso sulle adozioni in Italia. Sono contro la surrogazione così com’è, al pari di paesi come la Francia, la Germania e in parte anche la Gran Bretagna che non sono disposti a vedere che i bambini, di fatto, vengano ceduti in cambio di soldi.
L’attuale dibattito sulla gestazione per altri sta seguendo, secondo lei, dei giusti parametri?
È un dibattito troppo conflittuale, con schieramenti ideologici più che di riflessione. Mi piacerebbe che il libro che ho scritto aprisse la strada a una riflessione più profonda e sfaccettata, grazie a contributi e conclusioni tra loro differenti.