il manifesto 10.7.16
«Italicum, decide il parlamento»
Renzi sempre più buono: legge elettorale, non apro più bocca ma il referendum è su altro
Il premier si dichiara disponibile persino sulla proposta di ’spacchettamento’ dei quesiti: non decido io
di Daniela Preziosi
ROMA
Sempre più buono, sempre più disponibile, non sembra più il presidente
del governo che sulla legge elettorale ha messo la fiducia, scelta
inedita a parte un paio di precedenti poco rassicuranti nella storia
della Repubblica. Né quello che ha twittato: «Ci prendiamo le nostre
responsabilità in Parlamento e davanti al Paese, senza paura». Quello
che ha sfidato lo stesso parlamento: «La Camera ha il diritto di
mandarmi a casa se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui,
provo a cambiare l’Italia». Era più di un anno fa, soprattutto erano più
dieci punti fa nei sondaggi.
Il Renzi di oggi dice la sua, ma si
profonde in rispetto verso le camere. «L’Italicum secondo me è una buona
legge elettorale e non essendo su questo il referendum non vedo come si
possa continuare a collegarlo. Ma non apro più bocca su questo, è nella
disponibilità del Parlamento», sul tema «cala il silenzio stampa del
presidente del consiglio». Lo annuncia alla conferenza stampa a
Varsavia, durante il vertice Nato. Chiosando però: «A me pare di non
vedere un’altra maggioranza per una legge elettorale». E infatti il
punto non è cambiare davvero la legge elettorale, non per ora, ma
rassicurare le forze politiche, di centro e centrodestra, che la
vittoria del sì non sarebbe la premessa per spazzare via i partiti e i
partitini attraverso il premio di maggioranza alla lista. Le coalizioni
dunque potrebbero tornare in tutte le combinazioni possibili, tutte
tranne il vecchio centrosinistra. Perché nel frattempo dalle ceneri di
Sel sta per nascere un partito rimpicciolito dalle comunali e spaccato
come una mela sul tema delle alleanze con il Pd.
Intanto Renzi
deve cancellare l’esibizione di autosufficienza fatta all’inizio della
campagna per il sì: simile a quella che nel 2008 portò Veltroni, fresco
segretario del Pd, a dare il primo colpo per l’abbattimento dell’ultimo
governo Prodi grazie alle famose parole: «Correremo soli». E fu così che
alle politiche vinse Berlusconi.
Il rischio di perdere il
referendum e con esso il governo c’è. E la la legge elettorale scolpita
su misura per il Pd del 2014 fa oggi è perfetta per i 5 stelle. Ha buon
agio Luigi Di Maio a commentare (da Israele, dov’è andato a dare
un’aggiustata ai rapporti fra quel governo e il ’moVimento’ in vista
della corsa a Palazzo Chigi): «Temo che gli italiani assisteranno tutta
l’estate a questo dibattito allucinante sulla legge elettorale di cui
non gli importa nulla. Il perché è la paura che il M5S vinca».
Il
premier cerca di cambiare i sondaggi che – a oggi – danno il governo
soccombente al referendum lusingando le forze politiche che fin qui ha
trattato come residui del passato, la sua compresa come la minoranza
interna gli contesta. Infatti il Renzi «buono» tocca il cuore della
sinistra Pd: Gianni Cuperlo apprezza la «buona notizia» della
disponibilità di rimettere la legge al parlamento. Arrivano segnali da
voci importanti dell’imprenditoria e dell’editoria (dall’establishment,
come usa dire), preoccupate anche più delle forze politiche da
transizioni disordinate. Come il presidente del Gruppo L’Espresso Carlo
De Benedetti, intervistato dal Corriere della sera: il combinato fra
riforma costituzionale e legge elettorale, dice, «consente a una
minoranza anche modesta di prendersi tutto, dalla Camera al Quirinale. È
un pericolo che l’Italia non può correre. Spero di non essere costretto
a votare no».
E così Renzi da giorni arrotonda gli spigoli. Si
mostra persino possibilista sull’ipotesi di ’spacchettamento’ della
riforma costituzionale, ipotesi imbracciata da mesi dai Radicali
italiani e raccolta – talvolta con malizia – da chi vuole aiutarlo a
rallentare la corsa verso il giorno del giudizio. Lo spacchettamento
«non dipende da noi», dice, ma «se la Corte di Cassazione, o la Consulta
se sarà investita, daranno altro un altro giudizio non abbiamo nessun
problema». Un’altra novità del «dolce stil novo». Se avesse voluto
davvero spacchettare la riforma nei singoli «temi di merito», come Renzi
ama ripetere oggi, avrebbe potuto procedere alla riforma per testi
separati, come aveva fatto il suo predecessore Enrico Letta.