domenica 10 luglio 2016

Domenica 10 Luglio, 2016
Laura Boldrini
«Uomini siate femministi Unitevi a noi e isolate i violenti»
intervista di Aldo Cazzullo

Dice Laura Boldrini che era stanca di vedere nei corridoi di Montecitorio solo busti di uomini. «Autorevolissimi, per carità. Ma, a parte quello di Nilde Iotti, non c’è un solo busto di donna, una traccia che in queste istituzioni ci sono state anche le donne».
Così ho fatto quel che ho visto al Parlamento svedese: una Sala delle Donne, dove sono ricordate coloro che hanno contribuito a creare e a far crescere la democrazia. La inaugureremo qui a Montecitorio il 14 luglio. Ci sono le foto delle ventuno costituenti, la prima ministra — Tina Anselmi —, la prima presidente della Camera — Nilde Iotti —, la prima presidente di Regione: Nenna D’Antonio. Mi mancano tre foto, sostituite da tre specchi. Ogni ragazza che verrà qui avrà il diritto di pensare: la prima donna presidente della Repubblica, presidente del Senato, presidente del Consiglio potrei essere io».
Presidente Boldrini, le donne in questi anni hanno compiuto grandi passi in avanti, non pensa?
«Certo, ma questi passi non sempre vengono riconosciuti. Non viene riconosciuto alle donne ciò che è delle donne. Se tutti noi oggi riteniamo giusto che uomini e donne abbiano gli stessi diritti, tutti noi dobbiamo adoperarci e quindi dobbiamo essere tutti femministi».
Anche gli uomini?
«Certo. Soprattutto gli uomini».
Il maschio femminista è una figura di cui spesso le donne diffidano.
«Io invece la penso come il premier canadese Trudeau, che dice: “Mi definisco femminista e sono orgoglioso di esserlo. Passo tanto tempo a spiegare a mia figlia che il suo genere non può e non dovrà mai determinare i limiti di ciò che può raggiungere. Ma mia moglie mi ha fatto notare che dovrei trascorrere altrettanto tempo con i nostri figli maschi e spiegare loro che cos’è il femminismo e l’importanza dell’uguaglianza».
E lei cosa direbbe agli uomini italiani?
«Direi loro: unitevi a noi. Fate sentire la vostra voce. Le discriminazioni delle donne, i femminicidi, non sono solo un nostro problema; sono anche un vostro problema. E ai violenti dico: arrendetevi. Rassegnatevi. Non ci ridurrete a testa bassa. Noi e le nostre figlie non vi consegneremo la nostra libertà. Il male che fate vi si ritorcerà contro».
Shirin Ebadi, l’iraniana Nobel per la pace, sostiene che sono le madri a trasmettere il maschilismo ai figli maschi.
«Ha ragione, c’è anche questo. La battaglia deve essere di tutti. Nessuno esente. Senza deleghe. Il femminicidio purtroppo non ha confini: tocca tutti i Paesi, a ogni latitudine. Per questo bisogna coinvolgere gli uomini. Devono farsi sentire, devono condannare la violenza, devono far vergognare i violenti. Ci deve essere lo stigma sociale su di loro: gli altri uomini devono isolarli. Invece a vergognarsi a volte sono le donne che subiscono la violenza. È un mondo al contrario. Per questo è essenziale far arrivare al più presto i finanziamenti ai centri antiviolenza e alle case rifugio. Strutture che per molte donne rappresentano la salvezza».
Ha l’impressione che anche nel lavoro resistano le discriminazioni?
«Non mi baso su impressioni, mi baso su dati. Solo il 47% delle italiane lavora. Al Sud la percentuale diminuisce drasticamente. Quando la donna lavora, a parità di qualifica, a volte — per non dire quasi sempre — guadagna di meno. Andiamo in senso contrario a quello che ci indicano le ricerche. Il Fondo monetario ha condotto un’indagine su 2 mila aziende europee: quando nei board ci sono le donne, il fatturato aumenta da 8 a 13 punti. In Italia solo il 21% delle aziende ha donne ai vertici. L’Italia perde il 15% di pil potenziale perché non stimola l’occupazione femminile. Come si fa a non capire che si deve puntare sulle donne per la ripresa? E non per le donne; per il bene delle aziende e del Paese».
Ma Roma e Torino hanno appena eletto due sindache.
«Mi sono subito congratulata con loro. Al di là dell’appartenenza politica, è segno che la nostra società sta evolvendo, se è matura al punto da dare fiducia a giovani donne. Ho incontrato brevemente Virginia Raggi, mi ha chiesto un colloquio, la vedrò presto. Spero possano lavorare al grande impegno che si sono prese».
Lei con i 5 Stelle ha un rapporto burrascoso. Come mai?
«All’inizio pensavo che si potesse avere un buon rapporto: eravamo nuovi, eravamo qui per rappresentare un cambiamento; la cosa più logica era realizzarlo con una certa sintonia. Ci hanno divisi i metodi. Io devo fare rispettare il regolamento, e ho dovuto sanzionare i loro comportamenti quando non hanno seguito le regole. Questo ha creato un clima poco sereno. E sono arrivati gli attacchi nati dal blog di Grillo, con offese pesanti alla mia persona e alla mia storia del tutto gratuite».
Siamo un Paese maschilista anche in politica?
«In Italia c’è chi sostiene fortemente l’avanzamento delle donne, e c’è chi non ci crede, non si sente pronto ad accettare che una donna possa rappresentare le più alte cariche dello Stato. C’è uno zoccolo duro che lo ritiene quasi insopportabile».
Nello zoccolo duro forse ci sono anche donne.
«Sì, ci sono anche donne che non credono in questo. Ma per principio mi rifiuto di entrare in dispute tra donne che vanno a indebolire la posizione femminile. Se una donna mi attacca, mi aggredisce in quanto donna, non rispondo. Non mi presto».
Consideri i passi avanti però. La prima donna ministro…
«La prima donna ministra. Si dice ministra».
…È del 1976. Tutto è successo molto in fretta.
«Perché abbiamo perso vent’anni a causa del fascismo, che ci voleva solo mogli e madri. Già nel 1867 il deputato Salvatore Morelli propose il voto alle donne. Fu la sua tomba politica. Lo schernirono, ogni volta che prendeva la parola in aula era accolto da risatine. Noi italiane partiamo svantaggiate; per questo abbiamo ancora tanta strada da fare. Fino a quando una donna dovrà scegliere tra maternità e lavoro, fino quando a parità di mansioni guadagnerà di meno o sarà vittima di violenza mascherata da amore, avremo ancora strada da fare».
Non crede che la questione terminologica, cui lei tiene molto, non sia fatta per creare simpatie alla sua causa? Che rischi di essere confusa con una fissazione del politicamente corretto?
«Ogni persona che vuole smontare un pregiudizio, che vuole essere innovatrice, deve accettare di essere fatta oggetto di facili ironie, di essere sminuita. Lo deve mettere in conto: ogni figura che vuole precorrere i tempi e insistere su temi all’apparenza secondari ha dovuto affrontare questo. Sono arciconvinta che la questione del linguaggio rappresenti un blocco culturale. La massima autorità linguistica italiana, la Crusca, dice chiaramente che tutti i ruoli vanno declinati nei due generi: al maschile e al femminile. Ma la maggior parte accetta di farlo solo per i ruoli più semplici, e si blocca per gli altri».
Ad esempio?
«Tutti dicono contadina, operaia. Ma già a dire avvocata la gente storce il naso: “È brutto, è cacofonico…”. Questo perché per secoli non abbiamo avuto avvocate. Sindache. Ministre. Ma la società evolve e così anche il linguaggio evolve. In tutte le lingue neolatine esiste la declinazione di genere. Perché solo in Italia non la dobbiamo usare? Sono stata la prima a introdurla alla Camera: si diceva solo il deputato, il ministro».
Un’altra obiezione: non è sfruttamento della donna anche il caso del migrante economico che fa salire la moglie incinta su un barcone che rischia di affondare?
«Chi fa questo di solito non è un migrante economico. Gli uomini che vengono in Europa per cercare lavoro generalmente vanno avanti da soli e al limite chiamano dopo la famiglia. Chi invece si mette in viaggio con la famiglia lo fa perché non ha altra scelta: sono richiedenti asilo, rifugiati. Gente che, fuggendo dalla guerra, non ha nulla da perdere, non ha un posto dove stare, non può più tornare indietro».
Vince Hillary o Trump?
«Spero che vinca la lungimiranza del popolo americano. Un Paese come gli Stati Uniti non può permettersi di sbagliare. È vero, la figura di Hillary appare legata all’establishment. Ma una donna candidata alla Casa Bianca rappresenta comunque una grande innovazione».
Cos’ha provato alla morte di Jo Cox?
«Un grande dolore. Ho mandato un biglietto e un mazzo di fiori davanti a Westminster: nonostante non la conoscessi, tutto di lei mi era familiare; la battaglia per le donne, i rifugiati, l’unità europea. È stato un omicidio politico, un atto di terrorismo. E l’odio politico esiste, non solo in Gran Bretagna. In particolare contro le donne. Per questo la commissione che ho istituito a Montecitorio sui fenomeni di odio, razzismo, xenofobia porterà il nome di Jo Cox» .