Corriere 10.7.16
Mutilazioni genitali, una battaglia da vincere
di Monica Ricci Sargentini
In
un sorprendente e contestato editoriale dal titolo «Una scelta
angosciante» il britannico The Economist, nell’edizione del 18 giugno,
suggerisce un nuovo approccio alle mutilazioni genitali femminili:
«Invece di tentare di proibirle del tutto, i governi dovrebbero vietare
le forme peggiori e permettere quelle che non causano danni a lungo
termine», scrive il settimanale aggiungendo che «per quanto spiacevole è
meglio subire un taglietto simbolico che essere massacrate in una
stanza buia da un anziano del villaggio».
L’articolo è stato
duramente criticato dalle associazioni che da anni si battono per
eliminare questa pratica che è considerata una violazione dei diritti
umani dall’Oms. Sono più di 200 milioni nel mondo le donne che hanno
subito una mutilazione genitale e ogni anno tre milioni di bambine sotto
i 10 anni vengono sottoposte al terribile rito di passaggio. Ong come
Amref Health Africa o la britannica Orchid Project hanno fatto notare
che l’articolo «porta indietro di anni la nostra battaglia» tanto che,
poche ore dopo la pubblicazione, è stata lanciata una petizione online
perché il settimanale rivedesse la sua posizione. «Così le comunità
arrivano alla conclusione che le Fgm siano una pratica giusta dal
momento che anche i medici le ammettono» ha scritto Githinji Gitahi, Ceo
di Amref Health Africa in una lettera pubblicata sull’ultimo numero del
giornale.
Ad Amref fanno notare che la battaglia si può vincere:
nel solo Kenya il tasso di diffusione delle mutilazioni tra le donne di
età compresa tra i 15 e i 49 anni è sceso dal 38% del 1998 al 21% del
2014 e molti altri Paesi dell’Africa subsahariana stanno sperimentando
un trend simile. «Le Fgm sono una pratica pericolosa. I medici che la
eseguono causano danni fisici e psicologi. Noi ci battiamo per la sua
eliminazione» è il testo della lettera firmata da Flavia Bustreo e Ian
Askew dell’Oms e pubblicata dall’ Economist che, però, ha confermato
quanto scritto .