Corriere La Lettura 3.7.16
Gramsci diventa tedesco
Nora Bossong entra nel cuore e nella testa del pensatore comunista
La malattia e (forse) il disamore per la moglie: spia dei sovietici?
di Ranieri Polese
Il titolo del romanzo di Nora Bossong, uscito in Germania da Carl Hanser Verlag è 36,9°
Un
romanzo il cui personaggio principale è Antonio Gramsci. E 36,9° è la
temperatura corporea di Gramsci, come scrive lui stesso nella lettera
alla cognata Tatiana Schucht del 24 agosto 1931. Gramsci si trova nel
carcere di Turi, in provincia di Bari, da tre anni. Deve scontare la
condanna inflittagli dal Tribunale speciale il 4 giugno 1928 a 20 anni, 4
mesi, 5 giorni. Da due anni ha il permesso di scrivere note e appunti
su quaderni. Ma le sue condizioni di salute si aggravano. Nora Bossong
ricorda che gli rimangono solo due denti, soffre di disturbi digestivi,
mangia poco, ha frequenti emicranie e problemi respiratori. Poi, nella
notte del 3 agosto, ha una grave crisi: un’emorragia che gli farà
sputare, scrive Gramsci, «una libbra di sangue». Nella lettera del 24
agosto, comunque, dice che si sente meglio. E che la temperatura si è
assestata sui 36 gradi e 9.
«Questo non è e non vuol essere un
saggio storico, è un romanzo» dice a «la Lettura» Erica Bossong,
raggiunta per telefono a Berlino. Eppure dietro il suo Gramsci c’è un
grosso lavoro di documentazione, a cominciare dalla biografia di
Giuseppe Fiori (tradotta in Germania negli anni Settanta, ora in nuova
edizione da Rotbuch). Fra gli autori consultati, Erica Bossong cita Aldo
Natoli ( Antigone e il prigioniero. Tania Schucht lotta per la vita di
Gramsci , Editori Riuniti, 1991) e Mimma Paulesu Quercioli ( Le donne di
casa Gramsci , Iskra, 1991). Ma ci sono anche i saggi del presidente
dell’Istituto Gramsci Giuseppe Vacca, i contributi tedeschi di questi
ultimi decenni, la lettura dei Quaderni — Argument Verlag ha tradotto
l’edizione critica di Valentino Gerratana — e delle Lettere dal carcere
complete, tradotte sempre per Argument. «A Gramsci sono arrivata un po’
per caso, mi ricordo però che quand’ero bambina mio padre me ne parlava.
Laureata in letteratura comparata a Berlino, ho fatto un semestre di
specializzazione alla Sapienza di Roma. A un certo punto ho cominciato a
leggere Gramsci, le Lettere dal carcere ma non solo».
Ma si può
scrivere un romanzo su Gramsci? «Forse in Italia è più difficile, è in
gioco la storia del Partito comunista, il ruolo di Palmiro Togliatti:
ancora oggi chi scrive di Gramsci finisce sempre per trovarsi in mezzo a
polemiche. In quanto tedesca, penso di avere uno sguardo più
distaccato. Del resto, nonostante tutti gli studi su Gramsci, restano
sempre aperte delle domande. Per esempio, io mi sono sempre chiesta come
mai quando esce dal carcere gli lasciano portare con sé i quaderni. Ma
poi ci sono i rapporti con la moglie Giulia Schucht e le sorelle di lei,
Eugenia che vive a Mosca e Tania che invece sta in Italia: rapporti
difficili e che, da quando Gramsci è in carcere, si complicano
terribilmente e Gramsci stesso sospetta che nel silenzio della moglie
sia da vedere un intervento del partito sovietico (o dei compagni
italiani). Ai fini di un romanzo serve bene la doppia figura di Gramsci,
l’uomo privato che si lamenta delle poche lettere ricevute dalla moglie
che ama, e l’uomo politico che sa che tutte le lettere che scrive sono
lette anche dalla polizia fascista, dal Partito comunista italiano, dal
Partito comunista dell’Urss».
Più vanno avanti gli studi su
Gramsci, osserva Nora Bossong, gli interrogativi paiono moltiplicarsi.
«Per esempio, si sa con precisione come furono trasmesse le sue carte in
Russia? Perché certe lettere di Gramsci sono state pubblicate solo
molti decenni dopo? E perché i carteggi fra Tania, Piero Sraffa e le
sorelle addirittura vengono pubblicati solo negli anni Novanta? Enigmi
che stimolano l’immaginazione del romanziere. Aggiungo che, mentre già
lavoravo al romanzo, la mia casa editrice mi fece avere il saggio di
Franco Lo Piparo, L’enigma del quaderno (Donzelli). L’ipotesi di un
quaderno mancante poteva diventare uno spunto da romanzo».
I
quaranta capitoli del romanzo sono suddivisi così: i venti dispari,
ambientati ai giorni nostri, sono dedicati a un personaggio di
invenzione, Anton Stövers, ricercatore tedesco di Göttingen, chiamato a
Roma da uno studioso di Gramsci, il professor Brevi, con l’incarico di
scoprire il fantomatico quaderno mancante. Nei venti capitoli pari,
invece, si raccontano particolari momenti della vita di Antonio Gramsci.
Nel capitolo due Nora Bossong descrive la morte di Gramsci nella
clinica Quisisana a Roma, il 27 aprile 1937, intorno alle 4 del mattino.
La cognata Tania è accanto a lui. Poi, la Bossong racconta che poche
ore dopo, accompagnata da una guardia, Tania scende nel magazzino a
ritirare i pochi, poveri averi di Gramsci. La guardia, confusa dalle
chiacchiere della donna, non si accorge che lei sta avvolgendo nella
biancheria gli scritti dell’uomo che il fascismo voleva far tacere per
sempre. In appendice c’è la lettera (3 maggio 1937) di Giulia
Schucht-Gramsci al viceministro degli esteri V.P. Potëmkin in cui chiede
che il governo sovietico si impegni a farsi consegnare gli oggetti
personali del marito, compresi scritti e lettere. Il capitolo 40
(l’ultimo) riporta la lettera di Tania, 12 maggio 1937, a Piero Sraffa —
l’amico di Gramsci che insegna a Cambridge, e tiene i rapporti con il
partito e Togliatti — in cui dice che le ceneri di Gramsci sono state
tumulate in una collocazione che per dieci anni non comporterà spese.
Due mesi dopo, novembre 1937, scrive a Sraffa di aver consegnato «tutti»
i quaderni.
Chi è Anton Stöver? «Con lui» dice Nora Bossong «ho
voluto raffigurare un tipico figlio del Sessantotto tedesco. Genitori di
sinistra, la madre Ilsa che leggeva Gramsci (per questo lui si chiama
Anton) e guardava all’Italia, al partito di Berlinguer,
all’eurocomunismo e allo strappo con l’Unione Sovietica». Anton studia
storia all’Università di Göttingen, si laurea, lavora come assistente
per dodici anni, pubblica dei saggi «che nessuno legge». Si sposa con
Hedda, insieme conducono una vita borghese, hanno un figlio, ma lui non
rinuncia alle avventure. Al momento in cui il professor Brevi lo chiama a
Roma, la sua carriera accademica è finita, un altro assistente ha preso
il posto a cui lui sembrava destinato. Anche la vita privata è
fallimentare: il viaggio a Roma gli offre l’occasione per chiudere con
la moglie. E invece di lavorare alla ricerca del quaderno, corteggia una
misteriosa ragazza che frequenta l’Istituto Gramsci, e che lui immagina
si debba chiamare Tania, come la cognata di Gramsci.
Nei capitoli
riservati a Gramsci, Nora Bossong dedica molte pagine alle sorelle
Schucht, Eugenia la maggiore e Giulia, la moglie, che vivono a Mosca,
Tania che sta a Roma e si dedica all’assistenza del prigioniero. Gramsci
aveva incontrato per prima Eugenia nel sanatorio di Serebrianov, nel
1921 (si era ammalato, a Mosca, dove partecipava ai lavori del
Komintern). Grazie a lei aveva conosciuto Giulia, di cui si innamora.
«Perché Eugenia si interessa a Gramsci? E perché gli fa incontrare la
sorella più giovane? Così — parla Nora Bossong — ho immaginato un
colloquio tra le infermiere del sanatorio. Chiacchierando, esprimono dei
dubbi sull’interessamento di Eugenia. Una delle infermiere commenta:
non certo perché è un Casanova, è uno gnomo, appena un metro e
cinquanta. Ma siede nel Comitato esecutivo del Komintern, è un pezzo
grosso del Partito comunista italiano. Qualcuno vuole che lo si
controlli, servendosi delle sorelle Schucht. Eugenia lavora per Lenin,
il comunista sardo è una pedina». Dubbi e sospetti che anni dopo, in
carcere, formulerà lo stesso Gramsci.
Molto documentata sui punti
critici che ancora oggi fanno discutere gli storici, Bossong nel
capitolo trenta cita l’episodio delle lettere di Ruggero Grieco
indirizzate a Gramsci, Terracini e Scoccimarro, in carcere a Milano
(1928). E riporta la frase del giudice istruttore che, viste le lettere,
dice: «Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano
che lei rimanga un pezzo in galera». Su quello Gramsci tornerà qualche
anno dopo, quando, sempre più isolato a causa del suo dissenso dalla
linea di Stalin, parla di un doppio carcere, quello inflittogli dai
fascisti e quello di un partito che non sa, non vuole trovare il modo
per liberarlo. E così finisce per sospettare pure di Giulia, di cui non
riesce a spiegarsi i lunghi silenzi, dice di sentirsi tradito dalle
persone che stimava a lui più vicine.
Nora Bossong immagina, poi,
un drammatico dialogo fra Tania e Gramsci nella clinica del dottor
Cusumano, a Formia, dove Antonio viene ricoverato nel dicembre del 1933.
Lui, dice, non vuole più scrivere a Giulia: «A chi vanno queste
lettere? A Giulia o al partito? Voi volete carpire di nascosto quello
che penso. Ma io non ce la faccio più. Non voglio più. Palmiro ha
ignorato la mia posizione, voi tutti mi avete ignorato. Giulia non è mai
esistita. Esisteva solo perché grazie a lei voi potevate ascoltare
quello che pensavo. Per poter vedere dentro la mia testa. Siete proprio
come i fascisti, volevate controllare i miei pensieri, solo che ci avete
provato con strumenti diversi. E i vostri strumenti si sono rivelati
migliori degli altri».