Corriere La Lettura 3.7.16
Siamo liberi? Yes, Edipo, we can
Il vero complesso non è quello indagato dalla psicoanalisi e definitivamente entrato nel nostro immaginario con Freud
Il
vero complesso è quello dell’uomo di fronte a se stesso e alla storia:
ciò che ci fa grandi non sono le risposte che troviamo ma le domande
che ci poniamo
Al di là delle scoperte delle neuroscienze
di Mauro Bonazzi
Perché
Edipo, subito dopo che si è strappato gli occhi con le sue proprie
mani, accusa Apollo, lo incolpa di tutto quello che gli è successo? Sono
lontani i tempi in cui il romanzo giallo era considerato un genere
minore. Di sicuro è quello più adatto alla filosofia: in entrambi i casi
si tratta di ricomporre una trama, di cercare il disegno che si cela
dietro al disordine apparente. L’ordine magari non sarà quello auspicato
ma comunque esiste, come ne Il giorno della civetta di Sciascia, in cui
il commissario Bellodi riporta alla luce il sistema di corruzione e
connivenze che permette ai tanti don Mariano Arena di prosperare sul
«bosco di corna» dell’umanità. A volte invece il giallo serve a mettere
in crisi l’illusione dell’ordine, rivelando che il mondo è dominato
dalla confusione. Come ne La promessa di Friedrich Dürrenmatt: paziente,
meticoloso, ostinato il commissario Matthäi ha capito tutto, sa dove
l’assassino colpirà la prossima volta: si apposta, ma l’attesa durerà
tutta la vita (il commissario si licenzia e si mette a fare il benzinaio
in una sperduta piazzola di servizio perché sa che è lì che tutto deve
accadere), inutilmente, perché la sua preda, l’assassino in viaggio per
il delitto, è morta in un banale incidente automobilistico. Era tutto
giusto, il commissario aveva compreso, il disegno era quello, ma la
realtà è governata dal caso: ogni tentativo di controllo razionale del
disordine, ogni progetto di riduzione del caos a cosmo, è destinato allo
scacco. Matthäi però continua ad aspettare, mentre la luce del sole si
dispiega su un mondo sempre più incomprensibile.
Il dio della
luce, in Grecia, era Apollo. Edipo, invece, è l’archetipo del detective,
e la tragedia di Sofocle che racconta la sua vicenda, l’ Edipo re , è
il modello ineguagliato del romanzo giallo. Un investigatore,
intelligente, caparbio, implacabile, è sulle orme di un assassino. Laio,
il re di Tebe, è stato ucciso, e Edipo, il nuovo re, vuole fare
giustizia. Raccoglie gli indizi, ascolta i testimoni, ricostruisce i
fatti. Alla fine scopre che il colpevole è lui stesso. È la trama più
semplice, quella perfetta. L’investigatore è l’assassino: tutto si
concentra in un unico personaggio, il resto non conta, fa da contorno.
Ma
Sofocle non si accontenta, vuole di più. I romanzi gialli si reggono
sull’incertezza. L’ Edipo re invece non fa nulla per nascondere
l’identità dell’assassino, fin dall’inizio: il pubblico lo sapeva prima
ancora che la tragedia cominciasse (il mito era noto) e Tiresia lo
rivela subito allo stesso Edipo. L’oracolo di Delfi aveva predetto a
Edipo che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre; Edipo era subito
fuggito da Corinto, ignorando che Polibo e Merope non erano i suoi veri
genitori. E durante la fuga aveva prima ucciso il suo vero padre e poi
sposato la madre, Laio e Giocasta, i sovrani di Tebe. La tragedia —
l’indagine del commissario Edipo — svela una storia che conoscevano
tutti. Come si spiega allora quella suspence che inchioda al testo
qualunque lettore, che impedisce di distogliere lo sguardo dal
palcoscenico? Perché Edipo non sta cercando soltanto un assassino. E noi
stiamo cercando con lui. Sperando che abbia successo, ma allo stesso
tempo terrorizzati da quello che lo attende in fondo al tunnel in cui si
è addentrato, come in un vortice, lento all’inizio e poi sempre più
impetuoso, che avvolge tutto.
Edipo è definitivamente entrato
nell’immaginario collettivo nel 1900, con L’interpretazione dei sogni .
Freud aveva visto bene: le vicende di Edipo ci appassionano perché in
lui vediamo qualcosa di noi. Ma nella tragedia c’è molto di più che la
semplice scoperta delle pulsioni (desiderio della madre, conflitto con
il padre) che si annidano dentro di noi. Edipo era partito alla ricerca
di un assassino e si era poi messo a indagare sui suoi genitori. Ma il
vero obiettivo dell’indagine è un altro ancora, più profondo: come
Diogene (quello che girava con la lanterna in pieno giorno), Edipo è in
cerca dell’uomo, della sua libertà. L’indagine riguarda tutti.
Quando
era arrivato a Tebe, la città era oppressa da un mostro terribile, la
Sfinge, che uccideva chiunque non rispondesse al suo enigma. Edipo aveva
trovato la soluzione, salvando la città. Il mondo, quello degli antichi
non meno del nostro, è opaco, oscuro, ambiguo, sempre rischioso: questo
significa la Sfinge. Edipo è colui che porta la luce, con la forza
della sua intelligenza. È l’eroe dell’età di Sofocle, dell’illuminismo
trionfante ad Atene, «la scuola della Grecia». Come Protagora sa che
l’uomo è misura di tutte le cose, come Pericle sa che possiamo
rispondere alle sfide dell’esistenza. Ha insegnato che la nostra vita e
la nostra felicità dipendono da noi, dalla nostra capacità di
comprendere la realtà, di metterla in ordine. È un «modello» per tutti,
riconosce il coro. Quando si mette in cerca dell’assassino è questo che
vuole dimostrare, una volta di più.
Il momento decisivo è in uno
scambio di battute con Giocasta. Edipo ha finalmente trovato un
testimone decisivo. Il testimone parla e Giocasta inizia a capire: che
Edipo è l’assassino di Laio; che Laio era il padre di Edipo e che lei ha
sposato suo figlio. Che niente è come sembrava. Prega Edipo di smettere
con le indagini, di fermarsi prima che sia troppo tardi. Scappa. Edipo
si irrita, non comprende la reazione di Giocasta. Equivoca: pensa che
provi vergogna all’idea di aver sposato il figlio di uno schiavo. Ma a
lui questo non importa. Lo grida gonfio d’orgoglio: non era nessuno ed è
diventato il re di Tebe, grazie alla sua pazienza, alla sua
intelligenza, al suo coraggio. Lui è «figlio del destino», le sue
origini non contano. We can . Ha mostrato di cosa è capace un essere
umano.
Non ha capito nulla. Infaticabile e ostinato, Edipo, l’uomo
più intelligente, per tutta la tragedia non capisce mai nulla, ha
sempre vissuto nel buio dell’ignoranza. Poi, finalmente capisce:
precipita nella verità come in un abisso, è stato detto. L’indagine è
conclusa. Maledice Apollo. Dopo non resta che l’orrore, e il dolore.
Il
figlio del destino: Edipo credeva di essere libero, padrone e
responsabile per le sue scelte. Credeva che la sua vita dipendesse da
lui. Ha scoperto che un destino più grande incombeva sulla sua testa,
dominandolo. La libertà è un’apparenza; la vita di Edipo, il «modello»
degli uomini, era già da sempre costretta in un disegno su cui lui non
aveva nessuna possibilità di controllo. Si è scoperto ingranaggio di un
meccanismo: un meccanismo, imperscrutabile ma implacabile, che ha il
sorriso beffardo di Apollo — i Greci scolpivano le statue dei loro dèi
con un sorriso enigmatico — il dio che illumina, che mostra come stanno
le cose. Sul tempio di Apollo, a Delfi, campeggiava una scritta celebre:
«Conosci te stesso». Edipo ha seguito l’esortazione del dio, ha
indagato se stesso. Quello che ha trovato riguarda tutti.
In
effetti, i problemi con cui ci confrontiamo oggi non sono diversi. Che
cos’è l’uomo? Quale controllo abbiamo sulle nostre azioni, decisioni,
scelte? Quanto di ciò che ci accade è dovuto a cause che non dipendono
da noi — eventi del passato, condizionamenti sociali, situazioni
impreviste, predisposizioni del carattere? Tanto più conosciamo, di noi e
delle cose che ci circondano, tanto più le domande si fanno pressanti.
Il
parallelo più interessante è con le neuroscienze. Conosciamo come non
mai il funzionamento del nostro cervello: e quello che sembra emergere è
che non abbiamo un controllo effettivo, consapevole e razionale, delle
nostre decisioni e azioni. «Il tuo senso d’identità personale e di
libero arbitrio in realtà non sono niente più che il comportamento di
un’ampia organizzazione di cellule nervose e delle molecole loro
associate»: questo è Francis Crick, scopritore del Dna e premio Nobel.
Tutti i nostri stati mentali sono epifenomeni, spiegano altri
scienziati, non esercitano alcun impatto causale sulla realtà. Che senso
ha allora parlare di libertà o responsabilità? Sarà incredibile, ma è
così. E poi, a pensarci bene, non è neppure incredibile. La rivoluzione
scientifica, fin dal Seicento, ha rivelato che tutto l’universo si muove
secondo leggi necessarie di cause ed effetto. E Kant aveva posto il
problema, con la consueta chiarezza: per quale ragione gli esseri umani
non dovrebbero essere vincolati a queste stesse leggi di natura?
Cambiano i modi per dire le cose, ma l’ironia è la stessa: tanto più
conosciamo tanto più ci pensiamo grandi; fino a scoprire la nostra
irrilevanza. Come tutto il resto siamo parte di un meccanismo, di cui ci
sfugge il senso, fuori dal nostro controllo.
Ma proprio dove
maggiore sembra la miseria, lì è la nostra grandezza. È vero: ci
crediamo forti e non lo siamo, pensiamo di vedere e non capiamo nulla.
Ma non per questo ci arrendiamo. Siamo sempre in cerca. E in questa
continua ricerca di un significato, nel coraggio con cui affrontiamo le
domande più scomode, costi quello che costi, emerge qualcosa che è
nostro e solo nostro, che ci distingue e ci fa unici nell’universo
immenso che ci circonda. L’uomo, l’animale che fa domande, che vuole
capire.
Fino a che come Edipo non smetteremo di interrogarci su
quello che ci circonda senza accontentarci delle apparenze; fino a che
come Matthäi e Bellodi continueremo a stare lì, in una piazzola
abbandonata, su un pianeta insignificante, in attesa, cercando di capire
e cercando la giustizia: fino ad allora dimostreremo che siamo qualcosa
di speciale. È buffo, forse folle, ma è così. Ciò che ci fa grandi non
sono le risposte che troviamo, ma le domande che poniamo. È questo il
vero complesso di Edipo.