domenica 17 luglio 2016

Corriere La Lettura 17.7.16
Atei affamati di spirito. La fede dei millennials
Le nuove generazioni si staccano dalle credenze tradizionali ma riconoscono piena legittimità alle domande sulla trascendenza
di Alessandro Minelli

La condizione religiosa dell’Italia sta conoscendo una profonda e veloce mutazione, che sovverte le consuete antinomie tra fede e incredulità, religione e ateismo, materialismo e spiritualità e sembra indirizzare il nostro Paese in direzione di un allineamento al resto delle società europee secolarizzate. Da un lato, si assiste al crollo della pratica religiosa e al drastico calo di indicatori significativi quali il numero di matrimoni celebrati in chiesa rispetto al rito civile; dall’altro, però, emergono nuove forme di rapportarsi al sacro e al religioso che si affiancano o prescindono dal panorama delle religioni tradizionali e si traducono in quella che la ricerca sociologica ha definito «spiritualità contemporanea», una «nebulosa culturale» che include pratiche di meditazione di matrice orientale, nuovi movimenti esoterici o New Age, occultismo e altro ancora. Il tutto su uno sfondo che resta quello di un Paese di tradizione cristiana, e cattolica in specie, in cui la presenza della Chiesa risulta avvertita e avvertibile, ma soggetta a un giudizio ambivalente.
Come facilmente intuibile, la direzione e le dimensioni di questo cambiamento sono percepibili soprattutto nella generazione dei cosiddetti millennials, i giovani compresi tra la maggiore età e i trent’anni, oggetto di una indagine condotta da una équipe diretta da Franco Garelli e pubblicata dal Mulino con il titolo Piccoli atei crescono . Già precedenti ricerche erano state concordi nel segnalare come i nati negli anni Ottanta fossero i primi italiani tra cui era possibile rilevare un elevato livello di disinteresse nei confronti della religione. Ma ora il fenomeno sta assumendo dimensioni che apparivano impensabili sino a qualche anno fa. Quanti si dichiarano esplicitamente atei o agnostici e quanti invece risultano del tutto indifferenti al tema dell’esistenza di Dio o di altre forme del divino assommano a poco meno di un terzo del totale (28%), mentre erano poco più di un quinto (23%) soltanto una decina di anni fa. Per dare un’idea della crescita del fenomeno, nei due decenni conclusivi del secolo scorso le ricerche stimavano il numero di «atei» in non più del 10-15% della popolazione giovanile. In ogni caso, il dato risulta ancora significativamente inferiore a quello delle nazioni centro e nordeuropee, dove oscilla tra il 50 e il 65%, e della Spagna (37%), mentre in Europa solo i giovani portoghesi presentano una percentuale di atei e agnostici inferiore a quelle italiana (20%). Gli Stati Uniti rappresentano un caso a sé, con un indice di un paio di punti inferiore al 20%.
Tuttavia, questa impetuosa crescita non sembra collocarsi all’interno di un rigido schematismo che oppone i credenti ai non credenti, gli atei ai fedeli. Al contrario, dalla ricerca emerge come le opzioni possibili siano considerate non solo legittime, ma anche sensate, sia da quanti credono, sia da quanti non lo fanno, sulla base, sostanzialmente, di due ragioni. Anzitutto, la percezione che la condizione esistenziale spinge inevitabilmente le persone a porsi degli interrogativi cui la religione può fornire una risposta, anche se non è più la sola legittimata a farlo. In secondo luogo, il riconoscimento che le scelte religiose fanno parte dell’insieme di opzioni che risultano insindacabili, in quanto espressione della libertà individuale. È notevole che dall’indagine emerga come i giovani non argomentino a questo proposito in termini giuridici, di diritti della persona, bensì come affrancamento da qualsivoglia obbligo di conformismo sociale e al tempo stesso come possibilità di dare una risposta alle domande che nascono dal vissuto profondo di ciascuno e perciò non possono essere pienamente percepite o comprese dagli altri. Insomma, almeno per la generazione dei millennials non è più questione di un conflitto tra ateismo e credenza, bensì più semplicemente dell’autenticità di un sentimento religioso — o meno — che risponda alle esigenze intime delle persone e sia frutto di libera espressione. Del resto, come afferma un giovane «ateo» intervistato dai ricercatori, «da quando esiste l’uomo esiste anche la religione, e non penso che quest’ultima sia diventata negli ultimi anni obsoleta. Come si evolvono la scienza e la tecnologia, penso si evolvano anche la religione e il modo di interpretarla».
Da questo punto di vista, il sentire dei giovani italiani appare curiosamente allineato con gli esiti della parabola intellettuale dell’ateismo moderno, almeno secondo la ricostruzione che ne offre Ilario Bertoletti nel libro Idealtipi dell’ateismo (Ets). Per l’ateismo classico, Dio non esiste, perché è in contraddizione con le caratteristiche della realtà che sperimentiamo di fatto. Al più, rappresenta il prodotto di un’alienazione o di una prospettazione antropomorfica, come volevano Marx e Feuerbach, di un’illusione psichica per Freud, di un’affermazione priva di senso perché non verificabile empiricamente, secondo la visione positivistica e scientifica. Si tratta di una posizione che ha radici lontane, che risalgono oltre l’ateismo dei libertini sei-settecenteschi almeno sino a Lucrezio, e che tendiamo a identificare con l’idea stessa di ateismo. In qualche misura, però, affermare che Dio non esiste non implica negare che Dio possa esistere: è questo il compito radicale che si assume, con Nietzsche, l’ateismo genealogico. Il folle della Gaia scienza annuncia la morte di Dio, ucciso dall’umanità che prende coscienza dell’impossibilità storica di pensarlo: se un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste, ora si mostra come sia stato possibile credere nella sua esistenza, e come tutto questo abbia avuto una storia, un declino e una fine.
Ciò che resta è il nulla eterno, il nichilismo. E tuttavia rimane inevasa la domanda che Kant, sull’orlo del «baratro della ragione umana», poneva sulle labbra dell’Essere eterno: «Da dove sono sorto io?». L’interrogativo sul fondamento si trasforma in domanda sull’origine e sull’inizio. In questa prospettiva, una terza forma di ateismo, quello trascendentale, indaga le condizioni di possibilità di ogni essere e quindi pure dell’essere per eccellenza, Dio. A differenza del passato, Dio ora è possibile, ma non necessario. Così, il Dio possibile può assumere il volto del Dio biblico o le fattezze degli dèi pagani, si può dire che Dio non ci sia o che sia morto; nessuna di queste affermazioni ha però il carattere della necessità. Ateismo e fede si rivelano le due facce di una medesima medaglia, la condizione stessa in cui si trova gettato l’uomo, giovane o meno, al crepuscolo di una modernità dove, per citare Marshall Berman, tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria, e ciascuno rimane solo con le sue domande.