Corriere 9.7.16
Una lettura solo economica del terrorismo è sbagliata la religione resta centrale
di Giovanni Belardelli
Dopo
la strage di Dacca, abbiamo scoperto ancora una volta che i terroristi
non sempre vengono dai ceti diseredati, non appartengono ai «dannati
della terra». Lo abbiamo ri-scoperto nel senso che qualcosa, nella
nostra cultura profonda, ci impedisce di prendere atto una volta per
tutte del fatto che non è, o è solo in parte e neppure quella
principale, il disagio sociale ad armare la mano del terrorismo
jihadista. Nel caso del Bangladesh, uno dei Paesi più poveri del globo, i
terroristi erano figli addirittura delle classi agiate; e ce ne siamo
molto stupiti, quasi avessimo dimenticato che Salah Abdeslam,
protagonista degli attentati parigini del novembre scorso, veniva pur
sempre da una famiglia di ceto medio che abitava in un dignitosissimo
palazzo borghese. Gli esempi ulteriori non mancherebbero, almeno da
quando la strage dell’11 settembre fu guidata dall’ingegnere egiziano
Mohamed Atta, agli ordini di Osama Bin Laden, figlio di un miliardario.
Ma
è come se fossimo rimasti tutti discepoli di Marx e della sua idea che
ideologie e religioni (dunque anche il fondamentalismo islamista)
appartengono al mondo della «sovrastruttura», laddove invece le cause
vere dei fenomeni sociali e della storia in generale andrebbero cercate
altrove, a livello della «struttura», cioè dei rapporti sociali di
produzione e, in sostanza, dell’economia. Un’idea particolarmente in
sintonia del resto con i caratteri più profondi della cultura
occidentale, che pone appunto l’economia al vertice di tutto, che da
tempo ne ha fatto la dimensione centrale dell’esistenza (non si regge
soprattutto sull’economia, da ciò forse la sua fragilità, l’intero
assetto dell’Unione Europea?).
Per di più, la centralità
dell’economia si è accompagnata soprattutto in Europa a un processo
impetuoso di secolarizzazione che ha reso un luogo comune l’idea che la
religione sia il regno dell’illusione e della mera apparenza, quando non
della superstizione; qualcosa che i «lumi» della modernità presto
cancelleranno definitivamente, sicché non è da cercare lì, nei
riferimenti religiosi, alcuna vera motivazione dell’agire umano, neppure
dell’agire di un terrorismo che proclama apertamente la guerra santa
contro i «crociati» e risparmia chi si mostra in grado di recitare i
versetti del Corano. C’è davvero qualcosa di singolare nel fatto che
un’Europa che è stata dilaniata tra 5 e '600 dalle guerre di religione, e
prima ancora – nella Francia meridionale del XIII secolo – è stata
testimone di una crociata contro gli eretici (sterminati, a quel che
dicono le cronache del tempo, al grido: «uccideteli tutti, Dio
riconoscerà i suoi»), c’è qualcosa – dicevo – di singolare nel fatto che
ora quella stessa Europa non riesca a considerare seriamente la
componente evidentemente religiosa del terrorismo islamico. Siamo così
dimentichi di quel passato, che per timore d’essere tacciati di
islamofobia ci sentiamo in dovere di dire e scrivere sempre una cosa
ovvia, cioè che non tutti gli islamici sono terroristi. Come se
dovessimo precisare che al principio del XIII secolo c’erano in Provenza
i crociati che sterminavano gli eretici, ma c’era anche altrove San
Francesco che faceva tutt’altre cose.
Naturalmente la differenza
tra il fondamentalismo cristiano (chiamiamolo così) della guerra agli
eretici di allora e il fondamentalismo islamista di oggi risiede in gran
parte nella differente, per molti aspetti mancata, evoluzione della
cultura e della religione dell’Islam rispetto a ciò che è accaduto nel
continente europeo nel corso di svariati secoli.
Fatto sta che è
attraverso il riferimento alla religione islamica – naturalmente una
religione interpretata secondo le sue letture più estremiste e violente –
che oggi i giovani jihadisti ritengono di dare una risposta al
«risentimento dei musulmani di fronte all’arrogante e imperialistica
civiltà occidentale», come ha scritto di recente Luciano Pellicani
(L’Occidente e i suoi nemici, Rubbettino). Il fondamentalismo islamico
si presenta così come l’ultima, e in un certo senso al momento unica,
ideologia radicalmente anticapitalistica e antioccidentale.