Corriere 9.7.16
Un leader pd più morbido non spezza l’assedio
di Massimo Franco
La
disponibilità di Matteo Renzi a rivedere quelli che un tempo apparivano
paletti invalicabili sul referendum andrebbe salutata positivamente.
Purtroppo per il premier, invece, viene letta come un segno di
debolezza: il tentativo in extremis di esorcizzare un risultato che lo
metterebbe in seria difficoltà e lo spingerebbe verso le dimissioni dal
governo. Per questo adesso non parla più di un referendum su di sé, e
addita una discussione sul merito delle riforme. Lascia galleggiare
ipotesi su un’eventuale separazione tra i vari quesiti, e l’idea di un
rinvio.
È una strategia dell’arretramento, figlia della sconfitta
alle Amministrative di giugno; di un’economia danneggiata dall’uscita
della Gran Bretagna dall’Ue con un referendum suicida; e della
sensazione sgradevole di avere un Paese preoccupato e nervoso, ma sempre
meno convinto dalle riforme renziane. La stessa minaccia di elezioni
anticipate in caso di sconfitta lascia il tempo che trova. In un
Parlamento nel quale molti temono di non tornare, si è insinuata la
convinzione che una vittoria dei No prolungherebbe la legislatura fino
al 2018, magari con un nuovo governo. Mentre Renzi accelererebbe la
corsa alle urne.
Lo schema convince solo in parte, perché il
premier ormai sembra il primo a sapere che non avrebbe la forza di
imporre il voto. E probabilmente non lo vuole nemmeno, occupato com’è a
sventare le manovre per farlo cadere; e a evitare di uscire di scena con
le stimmate di chi ha consegnato l’Italia al Movimento 5 stelle. Il suo
appello di ieri ai sostenitori del Sì è un modo per ritornare all’idea
di un referendum spoliticizzato. «Se riusciamo a parlare di contenuti
l’Italia dice Sì», scrive. Ma significa rimangiarsi tutta la narrativa
sul «plebiscito su Renzi».
Lo conferma il ministro delle Riforme,
Maria Elena Boschi. «Non vogliamo un voto di fiducia o di simpatia al
governo ma un dibattito serio e approfondito sul contenuto», ha
assicurato ieri. D’altronde, anche a livello internazionale cresce
l’attenzione sull’esito della consultazione italiana: soprattutto dopo
il disastro di Brexit. «Ma non vinceremo evocando la paura del No: nel
nostro Dna c’è la speranza», ammonisce Renzi. Parole accorate, anche se
non si riesce a capire se e quanto faranno breccia.
L’insistenza
con la quale chiede aiuto agli elettori tradisce il timore di mancare il
numero di firme e di comitati che erano il suo obiettivo iniziale.
Perfino le modifiche all’Italicum, chieste dalla minoranza dem e dal Ncd
e rifiutate sdegnosamente dal governo in precedenza, vengono
interpretate con un misto di ironia e diffidenza. Il M5S addita un
cambio in corsa del sistema elettorale come un espediente che non
eviterà al Pd la sconfitta. E intanto il giovane vicepresidente grillino
della Camera, Luigi Di Maio, visita le capitali estere come se fosse
già un premier in pectore .