Corriere 8.7.16
La tempesta quasi perfetta
di Luciano Fontana
S
iamo ancora ad aspettare segnali di ripresa che non arrivano. Avevamo
sperato che il 2016 fosse l’anno della svolta, non sarà così. Se
mettiamo in fila quello che è accaduto nelle ultime settimane, le
ragioni di fiducia sono poche: il risultato delle elezioni
amministrative, con la sconfitta del Pd in tante grandi città, sta
moltiplicando le tensioni nel principale partito di governo. Il
referendum sulla Brexit ha fatto ridiventare l’Italia, considerata
l’anello debole dell’Unione Europea, il bersaglio preferito dei mercati
finanziari. Le nostre banche, siano o no negativi i loro risultati, sono
sotto pressione da giorni: l’intervento per mettere in sicurezza il
Monte dei Paschi di Siena tarda, tra incertezze italiane e rigidità
europee a senso unico. Il referendum costituzionale si sta rivelando un
passaggio ad alto rischio per l’esecutivo. E l’inchiesta che coinvolge
gli alleati centristi del Ncd può dare il via a una nuova fuga di
parlamentari con effetti imprevedibili sulla tenuta della maggioranza al
Senato.
Lo stato d’animo del Paese, in termini di consenso, lo ha
fotografato molto bene Nando Pagnoncelli con il suo sondaggio: ci sono
tre blocchi elettorali quasi alla pari tra di loro, con il vento che
spinge però i Cinque Stelle che al ballottaggio non avrebbero rivali. La
vicenda tormentata della nuova giunta di Roma, le faide interne e i
meccanismi, a volte surreali, di selezione dei candidati e degli
assessori non lasciano sereni rispetto alle capacità della possibile
nuova classe di governo. Il tentativo di darsi un profilo diverso,
perseguito soprattutto da Luigi Di Maio, si scontra con ricadute
ribelliste e logiche di fazione. Tanto più preoccupanti quando si vanno a
leggere a fondo i programmi elettorali.
La forza dei Cinque
Stelle pone però un interrogativo enorme alle altre formazioni politiche
e a tutti quelli che sperano in un’Italia moderna, europeista e
liberale. Il successo di M5S ha origine nelle colpe di chi non ha saputo
interpretare questo desiderio di cambiamento. Di chi non è riuscito a
risollevare un Paese bloccato, diseguale e intento a difendere il
passato e, a volte, interessi inconfessabili.
Centrosinistra e
centrodestra hanno pochi mesi per dimostrare di aver capito la lezione
delle urne italiane e della Brexit. Matteo Renzi due anni fa aveva
acceso speranze ed era riuscito nelle elezioni europee a incanalare
verso il Pd la voglia di trasformazione.
Ora il premier ha una
necessità e un’ultima occasione. Quella di cambiare la sua agenda,
mettendo da parte le sfide continue su se stesso per concentrarsi
sull’unico tema che conta: dare una scossa all’economia, puntando sul
taglio delle tasse e sull’innovazione (dimenticando la deludente
politica dei bonus a pioggia). Con lo spirito del leader che sa unire
oltre che rottamare, che sa coinvolgere e creare nuova classe dirigente,
al centro e in periferia.
Il centrodestra deve uscire dalla
logica dannosa della competizione interna per ritrovare quel profilo
moderato che a Milano lo ha reso di nuovo competitivo. Servono
urgentemente scelte politiche nette e la costruzione, in una sfida
aperta, di una nuova leadership lontana dalle suggestioni lepeniste e
antieuropee.
È la chance finale per dimostrare agli italiani che
esiste ancora una politica attenta ai loro problemi e alle loro paure,
che sa intercettare le domande diffuse e prova a dare risposte. Siamo un
Paese fragile, esposto alla tempesta della globalizzazione e della
trasformazione tecnologica, paralizzato da una pubblica amministrazione
inefficiente, povero di occasioni per i giovani. Non sarà certo una
guerra sul referendum a tirarci fuori da questa situazione. Non
facciamolo diventare il passaggio che manda in frantumi quel minimo di
stabilità a cui tutti cerchiamo di aggrapparci.