Corriere 7.7.16
Così il Rinascimento segnò la prima rivoluzione globale
di Tullio Gregory
Una
lettura attenta di testi rinascimentali dedicati alla storia del mondo,
rimasti spesso ai margini nelle più recenti ricerche, ma spesso di
grande successo nell’età loro, permette a Giuseppe Marcocci di scrivere
un libro originale Indios, cinesi, falsari. Le storie nel mondo nel
Rinascimento , appena comparso per i tipi degli Editori Laterza.
L’autore
si propone di individuare come lungo il Cinquecento venga mutando il
modo concepire e «raccontare» la storia del mondo — e in essa l’idea
stessa di Europa — di fronte ai nuovi scenari aperti non solo dalla
scoperta delle Americhe, ma da «un mutato rapporto con il mondo, nel suo
insieme» per l’infittirsi delle nuove vie di comunicazione e di
commercio con l’Estremo Oriente, per l’afflusso di prodotti in un
mercato ormai «globalizzato», per il moltiplicarsi delle fonti di
informazione fra documentazione autentica e costruzioni mitiche, dove
anche le fantasiose genealogie ed etimologie di Annio da Viterbo
assumono una loro rilevante importanza.
Che
non sia solo il fascino del Nuovo Mondo, ma una più complessa rete di
rapporti e scoperte a determinare interessi e orientamenti storiografici
è significativamente indicato dall’opera di António Galvão alla quale
l’autore dedica un’ampia analisi.
António
Galvão, capitano alle isole Molucche, a est dell’odierna Indonesia, dal
1536 al 1539, in un’opera pubblicata postuma a Lisbona nel 1563
dedicata alle secolari vie delle spezie, scrive che «i primi a viaggiare
furono i taibenchi che ora chiamiamo cinesi», imponendosi come «signori
dell’India fino al Capo di Buona Speranza» ed estendendo ancor più i
loro possedimenti per giungere sino alle Americhe. La storia del mondo
prende così le mosse dall’idea che anche il Nuovo Mondo fosse in realtà
un’antica colonia cinese: sarebbero stati i cinesi a realizzare una
prima «mondializzazione» con le vie commerciali aperte verso Africa,
Europa, America, assai prima dei navigatori portoghesi e spagnoli.
In
questa prospettiva sono le vie commerciali a segnare un reticolato
globale entro il quale scrivere una storia del mondo, divenendo criterio
di periodizzazione. Lo aveva suggerito Giovanni Battista Ramusio, che
nel 1550 pubblicava a Venezia il primo dei tre volumi delle Navigationi
et viaggi , un classico ancor oggi ristampato e letto. Qui, trattando
fra l’altro di viaggi e commerci, si propone uno schema storiografico
preciso: il Medioevo, «tenebre di una oscura notte», ebbe inizio quando —
per le invasioni barbariche — furono interrotti «tutti i traffici e
mercanzie che in diverse parti del mondo si facevano», mentre ai tempi
dell’Impero romano «in tutte le Indie Orientali per mare sicuramente si
poteva navigare». I nostri tempi, annotava Ramusio, sono segnati dalla
ripresa di antiche strade di navigazione da parte dei portoghesi,
divenuti «padroni di tutti i mari».
Le
suggestioni di Ramusio sono presenti in Galvão con accenti ancora più
drammatici: i goti distrussero le arti, le scienze, i commerci
«cancellando la memoria del passato». Da quella notte oscura si cominciò
a uscire quando ripresero navigazioni e commerci: «Quelli che vennero
dopo», scrive Galvão, «si resero conto della grave perdita del profitto
che il commercio e la comunicazione tra i popoli permettevano», quindi
«risolsero di cercare un modo per non perdere tutto e per far sì che le
merci di levante tornassero a ponente».
Le
vie di commercio segnano la rinascita e la modernità in una visione
della storia del mondo legata alla scoperta di nuove terre, nuovi
itinerari commerciali, capace di comprendere le civiltà diverse che si
andavano conoscendo. Dunque, insiste Marcocci, non è solo la scoperta
delle Americhe che determina una nuova storia del mondo, policentrica e
curiosa di altre forme di cultura: ne è un esempio un testo oggi
dimenticato, ma che ebbe larghissima fortuna nel Cinquecento — decine di
edizioni, traduzioni, imitazioni —, Omnium gentium mores (1520) di Hans
Böhm, grande enciclopedia di costumi, istituzioni e riti dei popoli
dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa (assente il Nuovo Mondo), fondata
prevalentemente su testi classici e umanistici, ma importante perché
offre «un approccio comparativo che contribuì alla scrittura di storia
del mondo nell’Europa del Rinascimento e oltre». Ne era ben consapevole
Böhm che, presentando la sua opera, sottolineava come sia «di tanto
piacere e utilità il conoscere diverse nazioni e vari costumi». La
varietà, la diversità, erano i nuovi valori: solo la diversità mi
appaga, scriverà Montaigne al tramonto del Rinascimento.