il manifesto 7.7.16
Un patrimonio nella muffa
Libri
negati. Il disastro della Biblioteca Universitaria di Pisa, chiusa dopo
il sisma dell’Emilia, vittima di una lotta per i lavori di
ristrutturazione al ribasso. Mentre preziosi volumi vengono danneggiati
da pioggia e festini notturni
di Chiara Frugoni
La
Biblioteca Universitaria di Pisa non appartiene all’Università, con cui
ha in comune solo il nome: dipende invece dal Mibact (per intenderci,
dal ministro Franceschini), ma si trova da secoli in un immobile storico
– la Sapienza – un tempo di proprietà demaniale e oggi dell’Università.
Di qui una pluridecennale e sorda lotta al ribasso sui lavori da fare,
con conseguente degrado anche architettonico.
A
causa del terremoto dell’Emilia (verificatosi il 28 maggio del 2012),
che avrebbe raggiunto a Pisa solo la Biblioteca – un terremoto drone,
che non arrecò alcun danno al resto della città, compresa la famosa
Torre pendente – il Rettore decise che, «per precauzione», l’edificio
del palazzo della Sapienza dovesse essere chiuso (lo è tutt’ora) e,
grazie al silenzio degli enti locali, progettò di togliere dal medesimo
palazzo tutti i libri. Associazioni, società civile e due ministri hanno
chiesto più volte le motivazioni di tale provvedimento, tanto più che
non si è trovato alcun edificio adatto per i seicentomila volumi e passa
che la biblioteca contiene, né per i circa 4357 periodici e i 1389
manoscritti.
Così,
il Rettore ha cambiato strategia. L’Università ha iniziato una raccolta
di fondi dalla Regione, enti privati, perfino dal Mibact, «per la
Sapienza», ma di fatto ha ristrutturato, restaurato e riarredato
soltanto i locali del palazzo alla Sapienza destinati all’Ateneo.
Intanto il trenta per cento del materiale librario della Biblioteca è
stato dislocato provvisoriamente – e sappiamo cosa voglia dire in
Italia, provvisoriamente – in un’altra sede, decentrata, pagata dal
Mibact.
L’acqua e l’umidità
Da
ormai quattro anni, i libri rimasti alla Sapienza sopportano il caldo e
il freddo, senza il riscaldamento degli ambienti, senza alcuna
areazione. Se da un giorno all’altro nessun studente né studioso è
potuto più entrare in biblioteca, si sono verificati invece altri
accadimenti: festini notturni, rotture di vetri, pioggia che entra dagli
infissi malconci e, recentissima, la rottura di un tubo dell’acqua
causata dal cantiere dell’Università che sta restaurando il Palazzo
della Sapienza.
L’acqua,
colando per ore sopra un soffitto occupato dalla biblioteca ha causato
un danno gravissimo a circa tremila volumi, fra cui preziose
cinquecentine. La direttrice e il personale della biblioteca che
ovviamente devono operare in un’altra sede, si sono immediatamente
mobilitati inviando alle necessarie cure i libri più colpiti. Tuttavia,
poiché i lavori del cantiere dell’Università sono in pieno corso, non si
possono aprire le finestre perché entrerebbero polvere e calcinacci. Il
risultato è che i libri stanno cominciando ad ammuffire.
E
gli interventi per la Biblioteca? Si faranno, pare, a breve; paga il
Mibact, cioè la fiscalità pubblica, ma queste operazioni certo non
saranno terminate fra pochi mesi quando riaprirà il Palazzo in autunno
(la data dipende dagli impegni di Bocelli che parteciperà
all’inaugurazione).
Il
Palazzo della Sapienza, dunque, è stato chiuso perché la Biblioteca
influiva negativamente con il peso dei libri sulle sue strutture –
almeno così si era supposto – e riaprirà, dopo quattro anni, con la
biblioteca ancora chiusa, senza una data certa dell’inizio dei lavori
alla medesima né una data che ne indichi (fra un anno, fra due? Chissà).
Una
raccolta di firme, molto partecipata, sta cercando di ottenere che
quegli interventi siano almeno progettati in modo da permettere la
riapertura a rotazione delle stanze della biblioteca in autunno: ci sono
riusciti enti un po’ più complessi ma più attenti al loro pubblico,
come, negli ultimi anni, la Hertziana a Roma, la British Library a
Londra, il Kunsthistorisches Institut di Firenze.
Obiettivi fuori misura
Non
sono, tuttavia, le risorse umane e finanziarie a essere mancate: anzi!
Valanghe di soldi pubblici sono arrivate e arrivano da Roma, con
commissioni efficienti e architetti volenterosi. Il problema è che
queste risorse sono state gestite pensando anche a fini altri: a
esigenze di riequilibrio accademico, a necessità di bilancio, a
obiettivi di autopromozione. La classe dirigente locale, in un contesto
economicamente depresso, costruisce la sua fortuna elettorale anche
sulla gestione dei fondi; non solo: non si ritiene più in dovere di
spiegare le sue scelte e rendere conto dei suoi errori.
Errori
che inevitabilmente ripete: il primo luglio, infatti, a Pisa è stata
chiusa definitivamente un’altra biblioteca, quella della Provincia,
senza pubblica discussione né annunci. I motivi? Primo, la Provincia non
ha più competenza sulle biblioteche (meno male che ce l’ha sulle
strade, che altrimenti si appresterebbe ad arare o a cedere al migliore
offerente) e, secondo, non ci sono i soldi per pagare il mutuo e le
bollette dell’immobile che doveva ospitarla, restaurato con le solite
valanghe di soldi, stavolta europei. I nostri amministratori hanno avuto
e impiegato milioni di euro dei contributi europei e dei cittadini per
costruire un edificio, ma non sono abbastanza attivi da pensare a
renderne compatibile la spesa corrente e dunque lo cedono all’unico
offerente (guarda caso, l’Università) al costo vantaggioso (per
l’acquirente) del mutuo e delle bollette, sperando di non dover
restituire i fondi europei per il cambio di destinazione.
Il valore sociale
Si
è costruito senza una progettualità vera. Tanto che il funzionario
della Provincia di Pisa che ha annunciato la chiusura non ha saputo
spiegare se ci fosse un progetto o anche solo un’idea per il patrimonio
librario, pur sempre bene pubblico.
E fin qui si è parlato solo di libri.
Ma
le biblioteche non sono solo un deposito di volumi, includono gli
utenti, i destinatari dei patrimoni che lì vengono custoditi e accuditi.
Oltre a una funzione insostituibile per studenti e studiosi sono fonte
di formazione sociale, permettono incontri e scambi di idee. La
Biblioteca Provinciale era accanto a un liceo, i cui studenti hanno
rimpianto la sua chiusura. Sono inoltre seriamente minacciate di
chiusura anche la Biblioteca Serantini e la Biblioteca delle Donne. «Non
di solo pane vivrà l’uomo», aveva risposto Cristo al diavolo; nel
nostro tempo: «con la cultura non si mangia», e tanto basta.