giovedì 7 luglio 2016

Corriere 7.7.16
l messaggio del premier: niente giochi di palazzo, dopo di me solo le urne
di Marco Galluzzo

ROMA «Non mi presto a giochi di Palazzo, dopo di me c’è solo il voto». È questo il concetto che ieri il presidente del Consiglio ha fatto arrivare alle orecchie di tutti quei senatori, in primo luogo del partito di Alfano, che minacciano di uscire dalla maggioranza e di mettere in crisi il governo.
Non prestarsi a giochi di Palazzo significa anche non sottostare a richieste che in questo momento potrebbero arrivare dal Nuovo centrodestra, o da Alfano stesso: il ministro dell’Interno deve difendere la propria immagine dalle conseguenze dell’inchiesta della Procura di Roma che lo ha indirettamente investito, e sembra che Renzi in privato lo abbia difeso e in qualche modo blindato, ma questo — nell’ottica di Palazzo Chigi — è tutto. Non c’è spazio per rafforzare Alfano accogliendo in bianco alcune delle richieste del suo partito, a cominciare dalle modifiche alla legge elettorale: questi per il capo del governo sarebbero appunto «giochi di Palazzo», e lui non è disposto a subirli.
Detto questo, il primo scenario che gli stessi renziani profilano è il ritorno alla calma: tutti confidano che i mal di pancia dei parlamentari dell’Ncd possano rientrare, anche perché in caso di crisi di governo sarebbero i primi a rischiare di perdere il posto. E del resto prevedere maggioranze diverse da quella attuale è un calcolo abbastanza azzardato, così come quello di una crisi che non abbia come sfogo naturale il ritorno alle urne.
Il problema è la debolezza dello stesso Alfano, che ha un consenso in deciso calo dentro il suo partito: una fetta dei suoi stessi deputati e senatori infatti esplicitamente lo accusa di non aver ottenuto nulla da Renzi, e di non essere stato in grado di garantire delle norme elettorali che consentano a Ncd di immaginarsi ancora in vita con l’Italicum.
A questo punto toccherà a Renzi gestire un percorso che nelle prossime settimane — primo appuntamento in Parlamento con il provvedimento sugli enti locali — potrebbe diventare accidentato. Cedere alle richieste dei senatori di Ncd significa mostrare debolezza, non cedere significa correre il rischio di subire le conseguenze di quelli che i renziani considerano come possibili «gesti disperati».
Una grana in più nel percorso verso un referendum costituzionale, ad ottobre, che in caso di crisi potrebbe anche slittare nel tempo. E questo mentre la minoranza del Pd si organizza proprio in vista del referendum e i renziani accarezzano scenari estremi: in caso di crisi una sola campagna elettorale, per il voto e per il referendum.