Corriere 7.7.16
I primi 18 giorni
Il traguardo del vero debutto in Campidoglio
dopo settimane estenuanti tra suggerimenti, perfidie, telefonate frustranti dei capi e rinunce
di Fabrizio Roncone
ROMA «Sì sì… Sta su, nel suo ufficio» (portineria del Palazzo Senatorio, commessi con il dono della riservatezza).
A che ora è arrivata?
«Guardi,
questa è una che arriva presto… Poi, poraccia, sta sempre al telefono,
esce da una riunione e ne inizia subito un’altra… La sera se ne va che
è…».
Che è?
«Uno
straccio. Gli amichetti suoi grillini l’hanno messa un po’ troppo sotto
pressione… E nun va bene, proprio no: perché lei, la Raggi dico… Aho’, e
questa ancora deve cominciallo a fa er sindaco de Roma…» (a pensarci
bene, sono commessi che hanno pure il dono della sintesi).
Oggi
Virginia Raggi presiederà la prima seduta del consiglio comunale: a
prevalere dovrebbero essere lo stupore e la curiosità, l’entusiasmo e la
soddisfazione. In realtà, a questo storico appuntamento, il nuovo
sindaco arriva dopo settimane estenuanti, con dentro volgari perfidie e
brutali suggerimenti, telefonate frustranti di capi severi e dolorose
rinunce.
( Flash-back: notte del 19 giugno scorso.
Fotografi
appostati con cannoni potenti la scovarono dentro una stanza del
comitato elettorale, mentre — al cellulare — parlava saltellando. Danza
della gioia. Roberto Giachetti battuto con distacco pazzesco. Lo
spoglio, un trionfo. Era raggiante, emozionata, francamente bella. Fu
portata in un’altra stanza: da dove uscì — poco dopo — con un discorso
scritto su un foglio che lesse facendo attenzione a non farsi tremare la
voce. Poi, finite le dirette tivù, la presero i militanti al grido di
«Onestà! Onestà!». Lei, senza immaginare, promise: «Sarete voi cittadini
a decidere con me!». Lo urlò. La abbracciarono. Le venne spontaneo
aggiungere: «Nessuno oserà mai dirci cosa fare!». Luigi Di Maio le
sorrise da lontano con il suo sorriso gelido, sempre uguale,
indecifrabile. Paola Taverna e Roberta Lombardi s’avvicinarono per
baciarla. Alessandro Di Battista, prudentemente, decise che era meglio
farsi qualche selfie con grilline volontarie ).
Il
risveglio, in un lunedì subito complicato. Sei sindaco da meno di
dodici ore e la prima lettera pubblica che ricevi è quella di tuo
marito, Andrea Severini: «Sono 21 anni che ti conosco, ora per noi è un
momento difficile, è inutile nasconderlo, ma io sarò sempre accanto a
te». Il frullatore già acceso. Con insinuazioni, spifferi velenosi. Con
dosi di maschilismo strisciante.
Lei
fa sapere che il suo capo di gabinetto designato è Daniele Frongia, 43
anni, statistico, autore del saggio «E io pago», resoconto di nefandezze
e sprechi consumati nell’amministrazione capitolina e fonte di
ispirazione del programma elettorale grillino: e due giorni dopo Frongia
è costretto a dettare un comunicato il cui succo è: «Smentisco ogni
pettegolezzo: non sono fidanzato con Virginia». C’è solo una grande
intesa politica. Ecco, appunto: peggio. S’infuriano in molti. Invocata
la legge Severino: Frongia non può ricoprire quel ruolo. Polemiche,
titoli sui giornali. È costretto a intervenire Beppe Grillo. «Se proprio
ci tieni, fagli fare il vice-sindaco».
Se
proprio ci tieni. Ma, scusa, quanto ci tieni? E poi, comunque, no: mica
puoi decidere da sola. Come ti permetti? Cosa ti sei messa in testa?
Datti una calmata, Virginia.
Entrano nel suo ufficio, chiudono la porta e le dicono cose così.
Un
pomeriggio, dopo un colloquio con la deputata Roberta Lombardi — prima
capogruppo del M5S alla Camera, tra le primissime a frequentare le
cellule grilline della Capitale, grande influenza sulla base militante —
la Raggi ha gli occhi lucidi.
La
senatrice Paola Taverna — 43 anni, romana del Quarticciolo, diploma da
perito aziendale — con lo slang che l’ha resa celebre anche a Palazzo
Madama: «Sta Raggi s’è bevuta er cervello… Macché davero pensa de decide
da sola tutti gli assessori? Boh».
Prova
a decidere, mal consigliata da Frongia, almeno il nome del vice-capo di
gabinetto: Raffaele Marra. Niente, le bocciano pure lui: è un ex uomo
di Alemanno.
Frongia
allora la fa salire a bordo della sua piccola Renault biposto elettrica
e l’accompagna alla celebrazione giubilare per gli uomini e le donne
delle istituzioni: mezzo governo la ignora, Boschi e Alfano costretti a
salutarla solo quando se la trovano a un metro. Cordiale solo il rettore
dell’Università Lateranense, monsignor Enrico Dal Covolo: «Sa che
abbiamo un amico in comune? Indovini chi è? Il dentista! Non è
magnifico?».
Il
sorriso della Raggi è spento. Le ha telefonato Davide Casaleggio. Un
filo di voce. Da brividi. «Trova subito una giunta. A Roma ci giochiamo
la nostra capacità di governare».
Perché tutti osservano Roma.
Tutti osservano lei, la Raggi.
Vincenzo
De Luca, presidente della Regione Campania, la definisce «bambolina
imbambolata» (sommerso dallo sdegno di Matteo Renzi e di tutto il Pd).
Luigi Di Maio la porta a cena. «Stai tranquilla, Virginia. Ce la faremo».
I romani, intanto, segnalati un po’ impazienti.