Corriere 4.7.16
Di Maio prende in mano la partita
Cena a due su assessori e strategie e parte il pressing sui candidati
di Ernesto Menicucci
ROMA
Due giorni di «stacco», col telefonino spento e poca voglia di pensare
alle beghe di questi giorni. Virginia Raggi, per una domenica, molla
tutto e se ne va in campagna col figlio. Agli strettissimi amici che
l’hanno intercettata, ha solo fatto capire di essere piuttosto
arrabbiata e anche innervosita per come stanno andando le cose. Anche
oggi, fa sapere, non avrà appuntamenti pubblici. Sembra quasi una
preparazione alla «battaglia», al vertice tra lei e il minidirettorio
romano. Un gruppo nel quale, adesso, si ritrova tutti contro: alla
nemica giurata Roberta Lombardi e al capogruppo regionale Gianluca
Perilli che fa riferimento alla deputata, si aggiungono infatti Paola
Taverna e il capogruppo all’europarlamento Fabio Massimo Castaldo che
proprio della Taverna era assistente parlamentare.
Così, per
proteggersi le spalle, «Virginia» si è affidata a Luigi Di Maio,
vicepresidente a Montecitorio, responsabile degli enti locali, secondo
molti futuro candidato premier dei Cinque Stelle. Asse contro asse,
blocco contro blocco. Con la consapevolezza, da parte della Raggi, che
comunque la giunta che varerà non potrà essere del tutto quella che lei
aveva in mente. Intanto perché mancano ancora almeno due caselle da
riempire e poi perché, ora dopo ora, il ruolo di Di Maio nella partita
romana è cresciuto. Un po’ per il progressivo sfilarsi di Alessandro Di
Battista, «Dibba» per gli amici, che dalla notte della vittoria — quando
rilasciava dichiarazioni, si faceva i selfie coi militanti
pentastellati, lanciava baci e proclami tanto da sembrare lui il vero
vincitore di Roma — si è un po’ defilato. Qualche dichiarazione qua e là
(«Torino non è Roma», per far capire la diversità e le difficoltà di
guidare la Capitale) ma poca voglia di mischiarsi nelle liti tra
correnti. Lui, del resto, un tentativo di composizione «salomonica»
l’aveva già fatto, subito dopo l’esito delle «comunarie» che
incoronarono la Raggi come candidata-sindaco: «Lei prima cittadina e De
Vito come vice». Era, si è capito dopo, un tentativo di mettere pace tra
le anime del Movimento che si fronteggiano, visto che Marcello De Vito è
l’uomo di punta del gruppo «lombardiano». Fallito quel tentativo di
mediazione, anche «Dibba» si è messo un po’ alla finestra, lasciando il
«cerino» nelle mani di Di Maio. È stato lui a portare a cena la Raggi
dopo la telefonata di Beppe Grillo, colloquio nel quale la sindaca aveva
persino minacciato le dimissioni, se non le veniva garantita autonomia.
Cena a due, visto che la Raggi ha chiesto che non fossero presenti né
Lombardi né Taverna. Ed è sempre Di Maio che sta cercando di
«puntellare» la giunta con alcune figure: la prima è stata quella di
Laura Baldassarre, già collaboratrice di Vincenzo Spadafora (capo delle
relazioni istituzionali di Di Maio) quando era Garante per l’Infanzia.
Sempre lui sta pressando Marcello Minenna, per fargli accettare un ruolo
«tecnico»: se non assessore, almeno capo di gabinetto o Ragioniere del
Comune. Mosse che denotano un aspetto: Di Maio sa che, su Roma, M5S si
gioca tutto, anche a livello nazionale. E, se fallisce, ne andrebbe
anche delle sue speranze di diventare premier. Tanto che gira una voce:
se non si appianano le liti, Raggi potrebbe essere chiamata a Milano per
un vertice con Davide Casaleggio.