Corriere 3.7.16
Cimino, misteri da Oscar
La morte dell’autore americano
Il regista de «Il cacciatore» conquistò 5 statuette con De Niro
Poi una carriera incerta e una incredibile trasformazione fisica
di Paolo Mereghetti
Per
cosa ricorderemo Michael Cimino, morto ieri a 77 anni? Per gli Oscar
vinti con Il cacciatore , il film che per primo seppe raccontare il
tormento autodistruttivo che attanagliava l’America dopo la sconfitta
nel Vietnam, oppure per aver fatto fallire, con I cancelli del cielo ,
la United Artists, la società che avevano fondato Charlie Chaplin e
Douglas Fairbanks, David Wark Griffith e Mary Pickford? Difficile dare
una risposta, così come è difficile scegliere tra le due anime che hanno
sempre attraversato questo regista, capace di intuizioni geniali (e
altrettanto geniali visioni) ma anche di catastrofiche cadute di stile e
di ispirazione.
È stato il direttore del Festival di Cannes
Thierry Frémaux ad annunciare via Twitter la morte del regista che era
nato a New York nel 1943. Diplomato in arti grafiche alla Michigan State
University, diplomato in pittura a Yale, si avvicina al cinema
attraverso la pubblicità per passare poi alla sceneggiatura: suoi gli
script di 2002: la seconda Odissea di Trumbull (1971) e poi di Una 44
Magnum per l’ispettore Callaghan di Ted Post (1973, dove si conquista
l’ammirazione di Clint Eastwood aprendosi così la via verso la regia.
Debutta infatti con Una calibro 20 per lo specialista (1974) dove smonta
la retorica dei gangster film e offre ai due protagonisti – Eastwood e
Jeff Bridges – un insolito ruolo di «padre» e «figlio». Il cacciatore ,
di quattro anni dopo, scoppia come una bomba nel cinema hollywoodiano:
la storia dei tre amici prigionieri dei Vietcong che scelgono strade
opposte dopo la fuga sconvolse un’America che non aveva ancora elaborato
la sua prima sconfitta militare. E le scene della roulette russa che
scandiscono il film riuscirono a rendere concreta quell’«epopea della
sconfitta» di chi si era arreso alla parte più oscura e maledetta che si
portava dentro. I cinque Oscar, tra cui miglior film e miglior regia,
aprono a Cimino tutte le porte e la United Artists gli dà carta bianca
per I cancelli del cielo , un western che vuole smontare la mitologia
del West. Questa volta però i 44 milioni di dollari investiti non
convinsero il pubblico che decretò il fallimento del regista e della
casa di produzione insieme. Visto lontano dalle polemiche che lo
accompagnarono (il New York Times parlò di «un disastro
inqualificabile»), il film oggi rivela le sue qualità – quelle di
un’ambizione smisurata ma illuminata da squarci lirici indimenticabili,
come il ballo sui pattini sotto il tendone che dà il titolo al film –
anche se le manomissioni cui fu sottoposto dai distributori di tutto il
mondo giustificano anche una sua lettura come opera «dispersiva» e
«fluviale». Da quel fallimento Cimino ha cercato di riprendersi con un
film di genere, teso e incalzante interpretato da un ottimo Mickey
Rourke, L’anno del dragone (1985) ma il pubblico non lo seguiva più e le
opere successive si sono dimostrato sempre meno convincenti ( Il
siciliano , 1987; Ore disperate , 1990; Verso il sol e, 1996). Negli
ultimi tempi, l’attenzione si era spostata sulle operazioni di plastica
che gli stavano trasformando il viso con lineamenti sempre più
femminili, su cui aveva steso una coltre di silenzio che la morte ha
sigillato per sempre.