Corriere 3.7.16
L’«Iniesta» dei 5 Stelle che sognava il Campidoglio e ora fa il regista di Virginia
di Ernesto Menicucci
ROMA
In Campidoglio, perfidamente, già lo chiamano «lo zarino». Una
malignità, per dire quanto Daniele Frongia, l’esponente di M5S che
Virginia Raggi vorrebbe a tutti i costi come capo di gabinetto, sia
influente nelle scelte della sindaca che hanno già creato molti malumori
nel Movimento romano.
Da quello che raccontano a Palazzo
Senatorio, ci sarebbe la sua mano dietro tutti i primi passi di
Virginia: dalla mancata proroga all’incarico del comandante dei vigili
Raffaele Clemente, all’idea di «ripescare» dal passato Daniela Morgante,
che fu la prima assessora al Bilancio di Ignazio Marino e che, in
quella prima giunta del «marziano», fu l’esponente più «grillina».
Frongia è il vero regista delle operazioni, quello che guida Virginia
passo dopo passo, l’inseparabile consigliere della prima cittadina, la
punta del «Raggio magico». Altri, proprio per questo ruolo da playmaker ,
lo chiamano «Iniesta», giocando su una vaga somiglianza col
centrocampista spagnolo.
Laureato in Statistica alla Sapienza
(«con tesi in Teoria delle reti applicate alla viabilità di Roma», si
legge nel suo profilo), ha poi insegnato «Analisi delle reti sociali e
Social media» alla Sapienza stessa, a Camerino, Tor Vergata e allo Iulm.
Ricercatore Istat, Frongia nel 2013 era in competizione con Marcello De
Vito per diventare il candidato sindaco del Movimento: perse la sfida, e
quella ferita non si è mai rimarginata. Così, passo dopo passo, in
Assemblea capitolina si è legato a Virginia, tanto da diventare —
politicamente — la sua anima gemella. Da qui nascono anche i gossip,
smentiti dai due con minaccia di querele, di una possibile relazione. Di
certo, tra loro, c’è una simbiosi quasi totale che è diventata
«plastica» negli ultimi giorni. Frongia si ritirò dalla corsa a sindaco,
qualche mese fa, per far confluire i suoi voti (circa 900) su di lei e
ora è sempre lui ad averla accompagnata, con la sua macchina elettrica
color turchese, nella prima salita al Campidoglio, il giorno della
proclamazione ufficiale.
Frongia, nella consiliatura Marino, è
stato presidente della commissione Spending review di Palazzo Senatorio
ed ha elaborato quel piano di recupero da 1,2 miliardi tra sprechi e
mancati introiti che rappresentano il cavallo di battaglia della Raggi.
Ci ha scritto anche un libro («E io pago») su quell’esperienza, che —
qualora a Frongia venisse riconosciuto uno stipendio da primo dirigente —
potrebbe addirittura ritorcersi contro di lui.
In quel ruolo,
Frongia ha anche conosciuto Raffaele Marra, il dirigente comunale ex
alemanniano, poi polveriniano, che lo stesso Daniele avrebbe voluto
portarsi come vicecapo di gabinetto, secondo uno schema preciso: lui la
«testa» dell’indirizzo «politico-amministrativo»; Marra il «braccio»,
quello che firma gli eventuali impegni di spesa del gabinetto ed esegue
il controllo di legittimità sugli atti dell’amministrazione. Schema che
ora sta saltando a causa del terremoto che si è scatenato dentro al
Movimento.
Frongia, però, non molla. Del resto, già qualche
settimana fa, ad alcuni amici che lo avvertivano del pericolo (anche sul
piano giudiziario) della nomina fatta aggirando la legge Severino, ha
risposto facendo spallucce: «Anche se annullano la mia nomina, il
provvedimento non sarebbe retroattivo...». A quel punto, però, più di
qualcuno lo ha invitato a ragionare. Se una nomina viene annullata, chi è
stato nominato viene chiamato a restituire quanto già percepito. Perché
altrimenti la Corte dei conti potrebbe aprire un’indagine per il danno
erariale subìto dal Comune. E quello sì che diventerebbe un bel
problema.