sabato 2 luglio 2016

Corriere 2.7.16
Addio a Yves Bonnefoy il poeta che doveva diventare capocantiere
di Stefano Montefiori

PARIGI Yves Bonnefoy ha concluso a 93 anni la sua vita di poeta, ieri a Parigi, poche settimane dopo avere pubblicato un importante saggio autobiografico — lui così schivo — che indagava sugli inizi della sua vocazione. Nell’ Echarpe rouge ( La sciarpa rossa , edito come sempre da Mercure de France), il più grande poeta francese contemporaneo evoca l’infanzia e la sua relazione con i genitori, con la madre maestra ma soprattutto con il padre operaio, che sognava per il figlio un avvenire da capocantiere.
Bonnefoy racconta di un padre silenzioso fino al mutismo, sopraffatto dalle incombenze quotidiane, possessore di un unico libro — sulle locomotive —, un uomo che non rideva, non scherzava, non parlava. «Non aveva vissuto abbastanza infanzia per comprendere che cosa potesse succedere nella mia», scrive il poeta con affetto, dispiacere, mai rivalsa.
L’incapacità paterna di comunicare con le parole spinse il Bonnefoy bambino a interessarsi a quella realtà così misteriosa ed esotica, la poesia, ma con un senso di colpa che non lo abbandonerà mai: più leggeva e scriveva, più imparava a giocare e a destreggiarsi con le parole, più il fossato con il padre si approfondiva, fino al rimorso finale di avere compreso solo tardi che «il silenzio è la risorsa di coloro che riconoscono nobiltà al linguaggio».
Nato a Tours il 24 giugno 1923, Bonnefoy ha studiato matematica al liceo di Tours e all’università di Poitiers prima di trasferirsi a Parigi nel 1943 e consacrarsi alla poesia. Dopo un iniziale periodo di interesse per il surrealismo, se ne distaccò rifiutandosi di firmare nel 1957 il manifesto dell’Eposizione universale del surrealismo. Negli anni Cinquanta i viaggi in Italia, e nel 1953 la pubblicazione della sua raccolta di esordio, Movimento e immobilità di Douve , accolta da un grande successo di critica. Seguiranno Ieri deserto regnante , Pietra scritta fino all’opera forse più conosciuta, La vita errante edita nel 1993.
La fascinazione di Bonnefoy per le parole si espresse anche nell’interesse per la traduzione, in particolare delle opere di William Shakespeare, ma anche della poesia di W. B. Yeats, John Keats, Giacomo Leopardi e Francesco Petrarca. A partire dal 1960 Bonnefoy ha regolarmente tenuto lezioni all’estero, dalla City University di New York a Yale, dal Williams College all’università di Ginevra.
Nell’introduzione al libro Il digamma (edito da Es nel 2015), il suo traduttore italiano Fabio Scotto scrive: «Con La vita errante trova sempre maggior spazio, nelle raccolte dette poetiche, la prosa (...).
La produzione di Bonnefoy in prosa è quantitativamente più cospicua del lavoro squisitamente poetico, a significare, nel segno della migliore tradizione francese che, da Nerval a Baudelaire, attraverso Rimbaud e Baudelaire, ha progressivamente sottratto al verso l’esclusività dell’espressione poetica, come la poesia sia ovunque, nella letteratura come nell’arte, nell’architettura come nella musica, quando l’essere si rivela nella sua più autentica presenza. Ecco perché ogni scritto di Bonnefoy ha un tasso di poeticità altissimo». Bonnefoy riconosceva anche dal punto di vista teorico l’importanza dell’infanzia «che non finisce», e la sua connessione intima con le poesia.
«La poesia è associabile all’infanzia e anche ai primi momenti di vita in un modo assolutamente essenziale — spiegò una volta in un’intervista a Rodica Draghincescu —, perché? Perché verso i sette o otto anni la cristallizzazione delle grandi articolazioni concettuali del nostro rapporto al mondo sostituisce all’esperienza aperta e diretta degli esseri e delle cose che predominava nel bambino, una rappresentazione di un gran numero di loro aspetti che sarà ormai astratta, e dunque parziale, tanto che non si potrà più restare con loro nell’intimità di prima, con le cose e gli esseri non si avrà più quel rapporto immediato che ne faceva delle presenze piene, fossero esse amichevoli o nemiche.
È di questa presenza — così intensamente vissuta, in quegli "anni profondi", che talvolta se ne provava angoscia — che la poesia si ricorderà più in là nella vita, con nostalgia. E la poesia avrà allora il desiderio di farla rivivere, è questo rapporto al mondo perduto che la poesia cercherà di ricreare con i suoi propri mezzi. Ecco perché si può dunque ben dire che la poesia è infantile».
Un tema, quello dell’infanzia, che Yves Bonnefoy ha ripreso nell’altro libro uscito settimane fa assieme a L’Echarpe rouge , ovvero Ensemble encore , una raccolta di poesie in gran parte mai pubblicate.
La morte lo ha colto mentre stava preparando l’edizione della sua opera completa nella collana Pléiade di Gallimard.