mercoledì 20 luglio 2016

Corriere 20.7.16
La caccia ai comunisti nell’America degli anni 50
risponde Seregio Romano

È uscito qualche mese fa nei cinema «L’ultima parola. La vera storia di Dalton Trumbo», film che narra la vicenda dello sceneggiatore vittima del maccartismo. Poco si conosce sul gruppo denominato «Hollywood ten» (di cui Trumbo faceva parte), le dieci persone emarginate dagli studios americani, perché dichiarate comuniste. I dieci furono riabilitati, oppure dovevano essere considerati, effettivamente, pericolosi per la sicurezza della nazione?
Andrea Sillioni

Caro Sillioni,
Prima di rispondere alla sua domanda devo ricordare che i «dieci di Hollywood» erano prevalentemente sceneggiatori cinematografici (ma vi era tra loro anche un noto regista, Edward Dmytryk) che rifiutarono di rispondere alle domande di una commissione della Camera dei rappresentanti nel corso di una indagine sulla presunta presenza di una quinta colonna comunista nel mondo americano dello spettacolo. La Commissione era stata costituita negli anni Trenta, ma aveva acquistato maggiore autorità e popolarità da quando un senatore repubblicano, Joseph McCarthy, aveva pronunciato isterici discorsi in cui sosteneva che tutta la pubblica amministrazione e, in particolare, il Dipartimento di Stato, erano stati infiltrati da agenti sovietici. McCarthy era soltanto uno spregiudicato arrivista, alla caccia di un ruolo nazionale, e col passare del tempo sempre più alcolizzato. Rimase sulla scena pubblica, spesso ubriaco, sino a quando nel dicembre 1954 il Senato lo squalificò di fronte al Paese con un voto di censura.
Ma il fenomeno andava al di là della sua persona. Come nel primo dopoguerra, gli Stati Uniti, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, furono afflitti da un morbo che venne definito «red scare», la paura dei rossi. Li vedevano dappertutto: nella stampa, nelle pubbliche associazioni, nei ministeri. Un biografo di Harry Truman racconta che in una sola giornata del giugno 1950 il New York Times aveva segnalato non meno di 4 casi. L’Università della California aveva licenziato 157 impiegati che avevano rifiutato di firmare un giuramento anti-comunista. Il congresso annuale della Naacp (l’associazione nazionale per il progresso della gente di colore) aveva deliberato l’allontanamento di tutti i comunisti dai suoi ranghi. Un giudice federale aveva respinto il ricorso in appello di tre sceneggiatori del «Gruppo dei dieci». Un giornalista, durante una conferenza stampa alle Nazioni Unite, aveva chiesto al segretario generale dell’organizzazione, il laburista norvegese Trygve Lie, se fosse o fosse stato comunista. Fu quello il clima in cui Charlie Chaplin, accusato di filocomunismo, lasciò gli Stati Uniti nel settembre del 1952; e fu lo stesso clima in cui i coniugi Rosenberg furono processati per spionaggio nucleare, condannati a morte e giustiziati il 19 giugno 1953.
Vi furono certamente molti comunisti in America dopo la Seconda guerra mondiale, caro Sillioni. Ma la maggioranza apparteneva alla generazione socialisteggiante del New Deal (il grande programma riformatore del presidente Roosevelt) ed era stata sedotta dal mito dell’Urss soprattutto negli anni in cui lo Stato sovietico era l’indispensabile alleato delle democrazie occidentali contro la Germania di Hitler.