mercoledì 20 luglio 2016

Corriere 20.7.16
con la riforma istituzionale meno potere ai cittadini
di Giuseppe Gargani

Caro Direttore, l e perplessità sulla riforma costituzionale oggetto del referendum sulle modalità di votazione, sulla difficoltà di votare con un sì o un no a domande non omogenee, dipendono da due fattori. Primo: non si è proceduto ad una «modifica» costituzionale come l’art. 138 prescrive, ma si è scritta, e male, una nuova Costituzione senza un’idea guida, senza l'indicazione di un modello istituzionale, e si sono modificate norme senza la necessaria coerenza e senza organicità. Di questo si rendono conto il giurista e l’uomo di buon senso. L’art. 138 non consente modifiche così ampie, altrimenti si sarebbe potuto cambiare tutta la Costituzione con un Parlamento pur sempre considerato illegittimo dalla Corte costituzionale. Secondo: nessuno dei sostenitori del «sì» ha spiegato il significato delle norme, la ragione delle modifiche, ma tutti, a cominciare dal presidente del Consiglio, non dicono una parola nel merito e ripetono che c’è esigenza di cambiamento, che con il «sì» si dà più potere ai cittadini. Quest’ultima motivazione ovviamente fa sorridere, perché se il cittadino non vota per il nuovo Senato, se non può dare la preferenza per le liste alla Camera dei deputati perché con il trucco dei capilista multipli viene ancor più offeso per la preferenza data inutilmente, come può avere più potere?! Resta dunque forte la perplessità per una «nuova Costituzione» scritta senza tensione culturale e sostenuta in maniera ossessiva dal governo. Queste le ragioni del rifiuto da parte dei cittadini. L’on Casini, insieme a Pera (illustre umanista ma non un giurista), sulle pagine del Corriere della Sera ha ripetuto le stesse ragioni generiche, aggiungendo che se vincessero i no «significherebbe che l’Italia si riconosce incapace di riformarsi, che si avvierebbe ad un inarrestabile declino»: affermazione apodittica e pretestuosa. Questa generica invocazione alimenta un populismo pericoloso: bisogna cambiare perché dopo tanti anni dobbiamo pur far qualcosa!
Ma Casini dice che «bisogna superare il bicameralismo perfetto» perché questa è la ragione principale della riforma. Ormai è noto a tutti che questo non è vero: non si elimina il bipolarismo, ma si crea un monocameralismo imperfetto, perché tante leggi possono essere discusse in tutte e due le Assemblee e inutilmente quando la Camera decidesse di non tener conto del lavoro del Senato. L’unica cosa certa è che il nuovo Senato non deve dare la fiducia al nuovo governo. E su questo va detta finalmente una parola chiara. Non è vero che in Assemblea costituente si trovò un compromesso, (per il significato che la parola ha), sull’assetto delle istituzioni repubblicane: si discusse a lungo e approfonditamente e si trovarono soluzioni condivise armoniche e organiche; l’unico compromesso vero vi fu per i problemi della magistratura dei quali parliamo da 50 anni ed inutilmente. I costituenti organizzarono un sistema democratico che si doveva reggere su due Camere elette con sistemi elettorali diversi, come è stato per il Senato, nel suo riferimento regionale, con classi di età diverse e con scadenze diverse. Un sistema così fatto non è un bicameralismo ripetitivo, ma corrisponde ad un assetto istituzionale complesso proprio di una Costituzione che deve garantire il pluralismo. La Costituzione doveva garantire la democrazia da improvvisi mutamenti ed è per questo che in dottrina sono definite «rigide» le norme che hanno finora garantito le prerogative democratiche e i diritti fondamentali.
Un’ultima annotazione: si dice spesso che i compromessi all’Assemblea costituente furono necessari perché da poco tempo era stato sconfitto il regime fascista ed era forte la preoccupazione che ci potesse essere un ritorno a forme non democratiche. Ebbene, questa preoccupazione era viva nei costituenti e deve essere sempre presente in noi, perché la democrazia non si conquista una volta per tutte ma si invera ogni giorno: in questo periodo deve essere più forte che in passato per la crisi della rappresentanza democratica che registriamo e per il vulnus che le democrazie stanno subendo nel mondo. Non si scherza con le istituzioni!
Presidente del Comitato popolare per il No al Referendum