Corriere 18.7.16
Gilles Kepel
«Un regime autoritario alimenta il jihadismo»
di Lorenzo Cremonesi
ANKARA
« Il golpe contro Erdogan era più temibile di quanto si possa credere
ora, a bocce ferme, dopo il suo fallimento. Il malcontento di una parte
dei militari esprime quello di tanti tra la popolazione. Anche se il
presidente turco sembra rafforzato, non sono affatto certo che lo
rimarrà nel lungo periodo», sostiene Gilles Kepel, noto politologo
francese esperto del mondo islamico. Ieri ci ha parlato a lungo per
telefono da Parigi analizzando gli ultimi sviluppi in Turchia e la
tragedia di Nizza.
L’ondata di simpatie raccolta da Recep Tayyip
Erdogan torna a mostrare quanto in Occidente siamo ormai proclivi a
sostenere regimi autoritari come quello in Turchia, del presidente
egiziano al Sisi e persino la violenta dittatura di Bashar Assad in
Siria, nel timore che in Medio Oriente trionfino terrorismo, caos ed
estremismo islamico. È una politica lungimirante?
«Non c’è dubbio
che noi tutti si preferisca lo Stato forte alla prospettiva della
violenza diffusa. La tragedia di Nizza, dopo quelle di Bruxelles e
Parigi, spinge particolarmente noi europei in quella direzione. Il
limite di ciò è che uno Stato forte privo di sostegno popolare, o
comunque con tanti nemici interni, porta alla ribellione, alla guerra
civile e poi ai movimenti jihadisti. Assad cinque anni fa sembrava
fortissimo. Oggi sopravvive solo grazie agli aiuti esterni e intanto la
sua repressione è causa maggiore del jihadismo».
Però Erdogan pare adesso invincibile. Ha incarcerato 6 mila oppositori, preme sugli Usa per l’estradizione di Fethullah Gulen.
«Sì,
certo, Erdogan pare rafforzato, i golpisti sono in cella, persino le
opposizioni laiche stanno con lui, non possono certo schierarsi con la
passata tradizione dei militari semi-fascisti. Ma i vecchi limiti
restano: non è riuscito a imporre le sue politiche ambiziose in Medio
Oriente, si trova con il problema dei curdi in casa, il Paese è
spaventato dal terrorismo di Isis. Per comprendere le sue difficoltà
vanno scoperti i nomi degli ufficiali che hanno cercato di
defenestrarlo. Non c’è il capo di Stato maggiore. Ma ci sono i generali
comandanti della Seconda e Terza armata, cioè le unità schierate in
prima linea sul confine siriano. Il loro malcontento riflette i
fallimenti di Erdogan in Siria, che prima ha difeso la cooperazione con
Isis, addirittura ha permesso il passaggio dei volontari stranieri verso
Raqqa, ma oggi sembra cambiare politica creando confusione. I generali
vedono messa in dubbio l’integrità territoriale nazionale, pensano che
gli errori di Erdogan portino al rafforzamento dei combattenti curdi in
Siria, che ricevono armi dagli Stati Uniti e le passano agli estremisti
curdi del Pkk in Turchia».
Ma in tutti questi anni Erdogan non ha mutato l’antica anima laica e kemalista del suo esercito?
«Il
nocciolo duro dell’esercito resta quello tradizionale, si concepisce
come il garante dello Stato laico nato dopo la Prima guerra mondiale.
Teme il progetto di lungo periodo di Erdogan, che vorrebbe presentarsi
come il continuatore di Ataturk, ma in realtà ne è l’antitesi e pensa ad
un Paese islamico conservatore totalmente altro da quello costruito un
secolo fa».
Come vede le tesi per cui Erdogan stesso avrebbe permesso il golpe per poter poi epurare i nemici?
«In
genere diffido delle teorie complottistiche. E comunque non abbiamo
prove in proposito. Vedo che invece prosperano sui social media, che
sono il terreno privilegiato delle voci e ipotesi più fantasiose su
qualsiasi argomento. In proposito è stato interessante come lo stesso
Erdogan abbia utilizzato il suo iPhone 6 per diffondere i suoi messaggi
nel pieno della crisi. Anche grazie alla rete ha salvato il suo regime.
Vede come è strano quel mondo? Mohamed Bouhlel, l’autore della strage di
Nizza, si è radicalizzato negli ultimi due o tre giorni appena prima
del suo folle gesto proprio collegandosi con i siti di Isis e nei
messaggi via etere ha trovato un vettore per trasferire i suoi squilibri
psichiatrici, la solitudine, le insicurezze e le paranoie».
Un pazzo o un terrorista del Califfato?
«Le
due cose si coniugano e diventano impossibili da battere per qualsiasi
polizia del mondo. Senza la rete probabilmente Bouhlel non avrebbe
compiuto il massacro. Attraverso la rete i suoi problemi personali sono
diventati moventi politici perfetti per l’ideologia di Isis. Ha colpito
proprio nel giorno della commemorazione della Rivoluzione francese, che è
il simbolo dell’Europa laica e democratica più odiato dall’Islam
radicale. Ha usato un volgarissimo camion di lavoro, un’arma che non ha
nulla di eroico, nulla di bellico. Chiunque può usarla. Ha colpito la
passeggiata di Nizza, anch’essa simbolo delle vacanze laiche, del
divertimento, del lusso, delle donne con le gambe nude, del consumismo
occidentale, tanto detestato dei musulmani conservatori».
Come battere i jihadisti online?
«Solo
la società civile, le famiglie, gli amici dei potenziali terroristi
possono farlo. Come nei primi anni Ottanta i brigatisti rossi vennero
fermati anche dalla sinistra italiana, che iniziò a chiamarli terroristi
e non più compagni che sbagliano, così oggi occorre che le società
musulmane da noi denuncino e fermino i potenziali terroristi tra loro».