Corriere 16.7.16
Lo stato laico e le mani dell’esercito
di Antonio Ferrari
Come
è già accaduto più volte nel passato, i custodi laici della Turchia,
gli amati militari ai quali il fondatore della Repubblica Mustafà Kemal
Ataturk aveva affidato i destini del Paese, probabilmente sono usciti
dal silenzio per rivendicare il loro ruolo. È presto per dire cosa
succederà, ma certo i segnali che giungono da Ankara, da Istanbul e
dall’Anatolia più profonda sono inquietanti. La Turchia è in bilico e i
generali non tollerano che il Paese vacilli pericolosamente.
Il
problema non sono i gravi incidenti delle ultime ore, ma la profonda e
gelida rabbia di gran parte delle Forze Armate, prima allontanate, poi
ricoinvolte nel tentativo di correggere i madornali errori
dell’esecutivo politico, guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Il
governo cerca di sminuire, attribuendo le colpe a un gruppo di militari
ribelli, ma è impossibile non cogliere il risentimento di una delle
istituzioni storiche della Turchia.
Le Forze armate sono da sempre la
garanzia della laicità dello Stato. Con indubbie forzature,
travalicando le regole di una moderna democrazia. Comunque pronte ai
passi più estremi per difendere il potere secolare della Repubblica. Nel
passato è accaduto più volte che i generali imponessero la fine delle
divisioni politiche, obbligando con la forza il ripristino delle regole.
Fui testimone diretto dell’ultimo colpo di stato militare, condotto dal
generale Kenan Evren, poi nominato presidente della Repubblica. E per
la prima volta assistetti a sviluppi davvero incredibili. Quando Evren
propose radicali modifiche della Costituzione, che di fatto limitavano
la libertà dei connazionali, il risultato fu quasi plebiscitario: non
per costrizione, ma per convinzione. Persino nei circoli più a sinistra,
a cominciare dal giornale Cumhuriyet , erano in tanti a difendere le
modifiche imposte dalla giunta.
Il colpo di stato si realizzò nel
1980, perché il Paese era sfibrato dal terrorismo, con centinaia di
morti ogni settimana. Dopo tre anni e mezzo furono gli stessi militari a
favorire il ripristino della democrazia, come più volte era accaduto
nel passato, affidando il potere a un nuovo partito moderato, la
Madrepatria, e al suo leader Turgut Ozal.
Vi fu un successivo colpo
di Stato, ma visto che non vi erano carri armati per le strade fu
definito «golpe post moderno». Lo condusse la società civile, senza che i
militari dovessero intervenire. Tutto cominciò con un incidente
stradale, forse provocato ad arte, il 3 novembre del 1996 a Susurluk,
quando si scoprì il legame fra un deputato del primo ministro Ciller, un
esponente dei lupi grigi, una ballerina, e il capo della polizia di
Istanbul. La gente, infuriata, protestò civilmente, accendendo e
spegnendo le luci di ogni casa alla sera, per dimostrare la propria
rabbia. Il governo cadde, senza intervento militare, e cominciò quella
fase di ingovernabilità che avrebbe portato, dopo l’inizio del terzo
millennio, all’ascesa inarrestabile di Recep Tayyip Erdogan.
Quello
che sarebbe diventato il nuovo sultano, e che allora sembrava un giovane
leader coraggioso e realistico, fu capace di offrire l’immagine di un
Paese diverso, e di sedurre l’Unione europea, che si preparava a
offrirgli di diventarne un membro effettivo. Pur di mantenere gli
impegni Erdogan fu pronto a ridurre il potere dei militari, riducendo ad
appuntamento formale l’incontro periodico della conferenza che di fatto
rappresentava la presenza, e quindi il placet, delle stellette sulle
decisioni dell’esecutivo.
Sappiamo poi che cosa è accaduto. Le derive
antidemocratiche del leader, diventato presidente della Repubblica, la
ferocia della repressione contro oppositori, giornalisti e istituzioni
disobbedienti hanno fatto il resto.
Nelle ultime settimane pareva
fosse accaduto un quasi miracolo. Il nuovo primo ministro pareva
orientato a correggere errori clamorosi, imponendo pace con la Russia,
atteggiamento morbido con gli Stati Uniti e con tutti gli alleati della
Nato, mano tesa al nemico giurato, il siriano Bashar Assad, quasi un
clima di equilibrio ritrovato. Ma forse non era così, anche se le ultime
notizie ci dicono che i movimenti golpisti potrebbero essere perfino
una manovra del regime. Chissà. A noi Erdogan dà l’impressione d’essere
un Ceausescu anticomunista. Sappiamo che fine fece il dittatore romeno.