sabato 16 luglio 2016

Corriere 15.7.16
Il tunisino era in Francia dal 2011. Precedenti penali, ma nessuna segnalazione all’antiterrorismo. Interrogata la moglie
Il killer
Violento, depresso e pieno di debiti così Mohamed ha trasformato i suoi demoni nell’orrore omicida
di Carlo Bonini


NIZZA. Chi era davvero Mohamed Lahouaiej Bouhlel? Quale demone ha trascinato questo giovane uomo nato il 31 gennaio del 1985 a Msaken, periferia della tunisina Sousse, al volante di un Tir bianco per farne il nuovo osceno detentore del trofeo di vite umane cancellate da un solo uomo, in un solo luogo, in un solo momento? Dove, insomma, in questo orrore, finiscono la sociopatia e la deriva psicotica e cominciano la religione, il culto mortifero e macabro della parola del Profeta? Oggi, del passato di un uomo che sembra non averne, neppure negli archivi dell’Intelligence per i quali era «un assoluto sconosciuto » , resta un’unica traccia. Nei cinque chilometri e mezzo di strade a gomito che, come una mezza luna, collegano una stamberga al primo piano di Route de Turin, nel quadrante orientale della città, ai dodici piani del falansterio all’8 di Boulevard Henri Sappia, quartiere popolare aggrappato alla collina che guarda la vecchia Nizza e che è tagliato dall’autostrada A8.
In Route de Turin, un anno e mezzo fa, era finito spiaggiato da debiti e pendenze giudiziarie l’uomo che si sarebbe fatto mostro. In Boulevard Henri Sappia, era naufragato in un abisso di collera e violenza il ragazzo padre di tre figli piccoli incapace di tenere insieme il matrimonio con una giovane moglie franco-tunisina, ieri interrogata, che diceva di amare e per la quale, con la contrarietà del padre, un islamista radicale, era arrivato a Nizza dalla Tunisia nel 2011.
Rashid, un maschietto di 14 anni con la maglia del Paris Saint-Germain, indica la porta di legno leggero che affaccia su un lercio pianerottolo al dodicesimo piano del blocco “Bretagne C” in Boulevard Henri Sappia. Esattamente in cima a un’ultima rampa di scale dal corrimano laccato rosso. Rashid spiega di ricordarle ancora le grida di Mohamed. Quasi quanto i suoi muscoli, coltivati ossessivamente in palestra. «Picchiava la moglie. La picchiava spesso. Urlava. Soprattutto nell’ultimo periodo, prima di separarsi». Già, quel giorno, quello in cui si richiuse la porta alle spalle, imbrattò della sua merda l’appartamento, defecando dove poteva e fin quando non ne ebbe più. Quindi, squartò con un coltello gli orsacchiotti di pelouche della figlia più piccola, per poi fare a pezzi i materassi del suo letto matrimoniale e quelli dei suoi bambini. Poi sparì. Salvo cominciare a ripresentarsi saltuariamente con i modi e il fare gentile del padre separato che viene a trovare i suoi figli in attesa della sentenza di divorzio. Maxim, un condomino sulla quarantina, ne parla accarezzando la testa dei suoi due bambini maschi. «Mohamed? Certo che lo conoscevo. Parlavamo spesso della scuola dei suoi e dei miei ragazzi. E posso dirti che quello che ha fatto alla Promenade con la religione e l’Islam non c’entra nulla. Se proprio dovessi dire, aveva un solo problema. Finanziario. Negli ultimi tempi se la passava male. Insomma, Mohamed beveva, non rispettava il Ramadan. Gli piaceva andare a ballare la salsa. Era sempre profumato» . Né si vedeva mai in moschea, a sentire la locale “Association culturelle Nice nord” per l’integrazione religiosa e razziale. Un luogo non lontanto da boulevard Henri Sappia, dove Mohamed era conosciuto. Ma proprio per l’assenza di qualsiasi passione che ricordasse la sua fede, piuttosto che la sua terra di origine.
Un musulmano secolarizzato, insomma. Che aveva trovato un lavoro saltuario da autista e, qualche mese fa, aveva ottenuto l’abilitazione alla guida di mezzi pesanti. Un depresso che alternava picchi di gentile e sincera euforia a scostanti silenzi, a scoppi di collera incontenibile e violenta. Come quello che, il 24 marzo scorso, gli era valso una condanna sospesa a sei mesi di reclusione per lesioni, dopo aver gonfiato con una mazza da baseball due fratelli per un banale tamponamento. Come quelli per cui si era fatto notare dai suoi nuovi vicini di casa, al primo piano di Route de Turin, il suo ultimo domicilio, quello sfondato dai piedi di porco della polizia giudiziaria ieri mattina. E dove, a un certo punto, si era informato se fosse possibile “affittare” una seconda buca delle lettere. Dio solo sa perché. Anche se un perché, evidentemente, doveva esserci.
Fonti di polizia e intelligence sostengono che dalla casa di Route de Turin, insieme a un computer portatile e uno scatolone di carte, siano usciti indizi che fanno dire al primo ministro Manuel Valls che la storia di Mohamed non sia solo affare psichiatrico. Che c’entri l’islamismo radicale in questo orrore. Che i legami tra Mohamed e lo jihadismo esistano. Eccome. E non solo per il “format”. Ma per la rete, il contesto di frequentazioni, che quest’uomo alla deriva si era messo a bazzicare, a cui lo stesso Procuratore di Parigi Francois Molins ha fatto ieri riferimento indiretto e che, in qualche modo, lo avrebbe accompagnato ed eccitato nell’incubare la sua spaventosa uscita di scena. Uno scenario che lascia singolarmente tiepido il ministro dell’Interno francese Bernard de Cazeneuve («Mohamed era legato allo jihadismo? No», ha detto rispondendo ieri alle domande di un’intervista televisiva), ma che calzerebbe come un guanto con la più spaventosa e per certi aspetti realistica delle previsioni che l’Antiterrorismo francese va facendo da tempo. Che esista un secondo stadio, una sorta di evoluzione “finale” e “definitivamente asimmetrica” del Terrore seminato dai cosiddetti “lupi solitari”. Quello che li vorrebbe “neutri”, impermeabili nei modi e nelle parole (quantomeno quelle pubbliche) al “radicalismo islamista”, che è poi primo e unico degli indizi che, in qualche modo, li rendono riconoscibili alla comunità in cui vivono prima ancora che ai poliziotti che dovessero avere la fortuna o l’intuito di individuarli. Che li vorrebbe dunque “fantasmi”, estranei a qualsiasi forma di censimento preventivo (come sono in Francia le cosiddette fiches “S”, le segnalazioni che accompagnano i profili ritenuti a rischio) di fronte anche alla più occhiuta e penetrante delle polizie di prevenzione. Consegnandoli tutt’al più, come era del resto accaduto a Mohamed, a piccoli precedenti penali. Violenza, armi. Quelli che, ancora oggi, fanno dire all’avvocato Corentin Delobel, suo legale nel processo per rissa dell’inverno scorso, che «nulla avrebbe mai fatto immaginare che quell’uomo potesse commettere atti di tale disumanità». E a suo padre, Mohamed Mondher Lahouaiej Bouhlel, che suo figlio, di cui aveva perso i contatti da cinque anni, «aveva un solo problema. La depressione. Ne soffriva dal 2002. Prendeva dei farmaci».