giovedì 14 luglio 2016

Corriere 14.7.16
Un traguardo minacciato dalla riforma dell’Italicum
di Massimo Franco

Psicologicamente, oltre che per motivi politici, il governo tira un sospiro di sollievo. Per quanto in affanno, il Comitato del Sì alle riforme sottoposte al referendum istituzionale ieri ha raggiunto la soglia delle cinquecentomila firme. Anzi, l’ha superata di alcune decine di migliaia: margine che dovrebbe metterle al riparo da eventuali irregolarità rilevate dalla Corte di Cassazione. Gli avversari di Palazzo Chigi, invece, sono arrivati solo a trecentomila; e dunque le presenteranno sapendo che non bastano. Questo risultato permette a Matteo Renzi di smentire chi dà già persa la consultazione.
Fino a qualche giorno fa, continuavano a circolare anche nel Pd voci e previsioni pessimistiche sulla possibilità di arrivare al traguardo. Per più di un motivo. Il primo era che le firme sono in un certo senso superflue, perché il referendum si farà comunque dopo che l’hanno chiesto un certo numero di parlamentari. Il secondo è che, tra la sconfitta del partito alle Amministrative di giugno e le polemiche interne, la mobilitazione è andata a rilento: la spinta decisiva è arrivata in extremis. La terza è che per il governo questo è uno dei momenti più difficili, tra sistema bancario in sofferenza e crisi economica.
L’obiezione più maliziosa è che sul risultato positivo possono aver pesato gli apparati del partito, sollecitati in ogni modo da Roma; e che una cosa è il ceto politico e quello che gli ruota intorno, altro l’orientamento di un’opinione pubblica ancora distratta e poco informata. Insomma, il sospetto che anche nella competizione sulle firme abbiano giocato le prove di forza dentro la sinistra, rimane. Ma questo non può sminuire il risultato, sebbene non sia ancora chiaro quando si voterà, se a novembre o perfino dopo. Stando ai sondaggi, numero degli indecisi e avversari del referendum non permettono a Renzi una marcia trionfale. E le resistenze al cosiddetto Italicum restano un ostacolo serio. Nel Pd l’ex segretario Pier Luigi Bersani assicura di non volere il ritiro del premier. È una mano tesa per condizionare Renzi e a correggerne gli eccessi. L’invito è a non personalizzare il referendum come nei mesi scorsi, quando ha minacciato le dimissioni in caso di sconfitta. Si ha la sensazione che molti, tra i dem, stiano cercando di offrirgli una qualche via d’uscita. Si vuole attenuare l’impatto di parole così compromettenti per il segretario-premier, nella convinzione che un approccio più cauto aiuti il Sì e smobiliti almeno in parte il fronte del No. Operazione rischiosa, ma necessaria per un Renzi che sta cercando di ritrovare una bussola; e di motivare il Sì senza paragoni un po’ forzati col referendum inglese che ha deciso l’uscita dall’Ue. I suoi avversari sono molti ma anche divisi. E l’unico a poter sentire «il vento in poppa» è Beppe Grillo. Ma solo confidando in una crisi più profonda dell’Italia.