giovedì 14 luglio 2016

Corriere 14.7.16
Il premier contro la «ditta»
La gara tra i due Pd per conquistare Berlusconi
di Francesco Verderami

ROMA Prima non vedevano l’ora di sbarazzarsene, tanto da averne accelerato la procedura di espulsione dal Parlamento. Adesso fanno a gara nel corteggiarlo, consapevoli che i loro disegni — contrapposti — fallirebbero senza il suo sostegno. Così Berlusconi da pietra dello scandalo si è trasformato per l’intero Pd in una pietra d’angolo, nell’oggetto del desiderio di Renzi ma anche della «ditta», entrambi vogliosi di stringere un patto con il vecchio rivale. Contendersi il nemico per eliminare il compagno-amico è l’ennesimo paradosso della legislatura più pazza della storia.
Proprio ora che non c’è, il Cavaliere è tornato centrale, marcando la sua presenza nell’assenza, alternando segnali al Pd di maggioranza (che teme di diventare minoranza) e al Pd di minoranza (che mira a ritornare maggioranza). Ai primi, cioè a Renzi, ha fatto mostra di non voler mettere in crisi il suo governo, impedendo in questi giorni la migrazione di ritorno ad alcuni centristi. Ai secondi, cioè a D’Alema, ha fatto sapere che sull’Italicum la pensa come lui. In entrambi i casi non si è esposto completamente, perciò tutti restano in attesa che il leader di Forza Italia scelga da che parte stare. E tutti temono che possa stare dall’altra parte .
Quando il premier dice che sul referendum Berlusconi «per ora» è per il No, non è perché immagina di strappargli un Sì, ma perché confida in un «No intelligente», che poi è l’espressione usata giorni fa da Gianni Letta con alcuni dirigenti azzurri: «Costituite pure dei comitati per il No. Ma che sia un No intelligente...». Ecco cosa preoccupa la «ditta»: che il vecchio nemico si accordi ancora con il loro nuovo nemico, che «per motivi familiari e aziendali» il fondatore del centrodestra accetti i suggerimenti degli amici di una vita e giunga a un’entente cordiale con Renzi .
In realtà Berlusconi non ha ancora deciso chi incontrare del Pd, l’unica cosa certa è che dopo il referendum vorrebbe tornare al Nazareno, per stringere un altro patto stavolta alla luce del sole: «Per governare questo Paese serve un nuovo governo di larghe intese». E poco importa se finisce per contraddire se stesso, per rompere il giuramento che si era dato dopo il voto con cui il Pd lo aveva escluso dal Senato: «Non posso più stare con i miei carnefici». Invece nella stessa legislatura è pronto a riaverli come alleati, «in nome e nell’interesse del Paese». Conscio (anzi desideroso) di suscitare la reazione violenta di Salvini. «Se dopo Renzi ci fosse un altro Renzi — avvisa il leader del Carroccio — riempiremmo i pullman di militanti e dalle nostre valli andremmo tutti a Roma a smontare il Palazzo». I regolamenti di conti non avvengono solo nelle file dei Democratici, anche se nel partito lo scontro è più efferato.
E siccome per vincere la sfida interna il Pd di maggioranza e il Pd di opposizione hanno bisogno di Berlusconi, si susseguono le offerte di doni al vecchio nemico. Il premier lo vezzeggia in pubblico, sostenendo che resta sempre lui il perno di quello schieramento. La «ditta» lo lusinga in privato, riconoscendo in lui — per dirla con l’ex capogruppo Speranza — «l’ultimo monarca rimasto». E mentre il fondatore del centrodestra si balocca dei suoi ufficiali, mentre li disorienta preannunciando il desiderio «di fare un’alleanza con Di Maio e i Cinque Stelle», alla sua porta i Magi del Pd si presentano con i loro doni.
Il più ambito è la riforma della legge elettorale. Il leader di Forza Italia è stato chiaro con i legati democratici delle opposte fazioni: chi lo vuole conquistare deve eliminare il ballottaggio dal sistema di voto. Pertanto si è compiaciuto nel sapere che Bersani ritenga possibile partire nella trattativa dal doppio turno di collegio per arrivare a un punto di compromesso sul turno unico con un sistema di collegi, su un modello per metà Mattarellum e per metà Porcellum. Una proposta che immediatamente ha ottenuto l’interessamento di un pezzo dell’area renziana. Un altro paradosso che caratterizza la legislatura più pazza della storia: il Pd che per anni ha desiderato la mela del doppio turno, ora sarebbe pronto a disfarsene. Perché il frutto, un tempo tanto ambito quanto proibito, rischia di rivelarsi avvelenato e di portare al successo il Movimento.
La trattativa sul superamento dell’Italicum è avviata, nel senso che i pourparler ci sono stati e si sono interrotti nell’attesa del responso popolare sul referendum costituzionale che sembra prossimo e che pure potrebbe allontanarsi fino all’anno prossimo. È l’incertezza che accompagna anche le pulsioni di Renzi, i suoi sospetti su Franceschini e perfino sulle ambizioni di Delrio, e che innescano un ulteriore paradosso: contando dal governatore della Bce Draghi fino al capogruppo tedesco del Ppe Weber, il premier si è convinto di avere più alleati in Europa di quanti non ne abbia nel suo Consiglio dei ministri. È davvero la legislatura più pazza della storia, e non è ancora finita .