giovedì 14 luglio 2016

Corriere 14.7.16
Consigli di sopravvivenza per anglofili traumatizzati dal crollo del mito britannico
di Maria Laura Rodotà

S i preferirebbe essere, nonostante tutto, dei personaggi di Evelyn Waugh. Di quelli che — narra il grande scrittore — alle brutte ordinano una bottiglia di claret, insom-ma di Bordeaux; e il vino gli detta «ferme parole di speranza». Quelle parole e quella speranza che gli anglofili traumatizzati, i cultori della letteratura e pure del giornalismo londinese, i tossicodipendenti storici da romanzi di P.G. Wodehouse, non trovano più. Dopo la Brexit, dopo il crollo dei miti dello stile/stoicismo/flemma/ineffabili-tà/senso dell’umorismo, insomma dell’attuale apparente fine del soft power culturale britannico. Che rischia di essere una tragedia, in un mondo in cui l’ironia è malvista quando non è innocua o pulviscolare. Dove l’understatement è stato concordemente falciato da satrapi politico-economici di tutto il mondo e di tutte le etnie; per cui scrivere bene è un optional, mostrare senso del dovere è da pirla, mantenere la calma e andare avanti — «Keep Calm and Carry On» — è pratica oggi dismessa dagli stessi inglesi che l’hanno lanciata. Unico vantaggio: nessuno, quest’an-no, ci obbligherà a rivedere «Il discorso del re», neanche se il tempo in vacanza si guasta e fuori piove. Unico sollievo: si riprenderanno in mano i veri cinici come Martin Amis (meglio i romanzi vecchi); si prenderanno in giro i conoscenti ricchi con investimenti immobilia-ri e prole all’università a Londra. Si leggerà ancora Wodehouse nei pomeriggi d’estate. Pur rendendosi conto che la Brexit è colpa di Bertie Wooster che ha convocato il referendum (David Cameron, a pensarci è Bertie, Eton, Oxford, e club sciagurati inclusi; solo, non è stato contenuto e salvato dal suo personal gentleman Jeeves; qualcuno ora immagina che Jeeves sia passato all’Ukip,e che sia premier la zia Agatha, ma vabbé).