mercoledì 13 luglio 2016

Corriere 13.7.16
la sciagura della non politica
di Sergio Rizzo

In una sfolgorante mattina di luglio hanno ferito a morte l’Italia intera. Non l’Italia dell’Alta velocità, delle carrozze con le poltrone in pelle, sala cinema e prosecco ghiacciato. Ma l’Italia degli studenti, dei pendolari, dei pensionati, dei poliziotti. Non può consolare sapere che secondo le statistiche il sistema ferroviario italiano è considerato fra i più sicuri d’Europa. Né che una collisione del genere non si verificava da nove anni. E neppure che dei 59 morti per incidenti ferroviari nel 2015 (meno di un cinquantesimo rispetto alle vittime della strada) 57 sono stati travolti sui binari. Se la causa sia da ricercare nell’errore umano o degli strumenti, speriamo venga presto accertato. Ma un colpevole oggettivo lo conosciamo già: la sciagurata non politica del non trasporto pubblico.
L’ ultimo rapporto Pendolaria di Legambiente ci dà un quadro desolante. Il servizio ferroviario regionale ha subito dal 2010 a oggi tagli valutabili nel 6,5 per cento, mentre le tariffe continuavano ad aumentare. È successo in tutta Italia, ma il Sud è stato letteralmente massacrato: -9,8 per cento in Abruzzo, -12,1 in Sicilia, -15,1 in Campania, -18,9 in Basilicata, -26,4 in Calabria... E anche se la Puglia se l’è cavata con un modesto -3,6, i biglietti sono comunque rincarati di oltre l’11 per cento. Questa storia viene da molto lontano. Comincia già negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia quando il Sud, con un livello di infrastrutture ferroviarie pari a un decimo del Centro-Nord, viene pesantemente penalizzato negli investimenti.
E continua dopo la Repubblica, quando al ferro dei treni (l’ideale per un Paese stretto e lungo, sostengono gli esperti), si preferisce la gomma delle auto e dei camion. Per arrivare al disastro definitivo con le Regioni, alle quali lo Stato centrale demanda la gestione del trasporto locale. Il risultato? Investimenti irrilevanti e qualità del servizio penosa. Una situazione che prefigura, analogamente a quanto accade nella sanità, differenze rilevanti nei diritti costituzionalmente garantiti fra pezzi dello stesso Stato. Per non parlare delle conseguenze sugli stessi livelli di sicurezza.
Esistono ormai tecnologie tali da rendere il traffico ferroviario sicuro quasi al cento per cento, con sistemi capaci, in caso di pericolo, di bloccare automaticamente il convoglio. Che su quella linea della tragedia, peraltro ancora a binario unico nonostante un progetto di raddoppio partito addirittura nel 2007, non ci sono. Perché per averli bisogna investire: se i soldi non ci sono, o peggio ancora vengono sprecati come accadeva alle Ferrovie del Sud-Est nella stessa Puglia della tragedia del Barese, ecco che gli investimenti non si possono fare. Di conseguenza ci può andare di mezzo anche la sicurezza.
E qui viene fuori tutta la responsabilità della politica, incapace di concepire un disegno strategico per una funzione sociale così importante e delicata, che non sia quello dei tagli. Ricorda sempre Pendolaria che negli ultimi cinque anni sono stati chiusi 1.189 chilometri di ferrovie, con la soppressione di linee un tempo fondamentali per il Sud, come la Pescara-Napoli. Nel frattempo non si può dire che i cordoni della borsa siano rimasti sigillati. Tutt’altro. Abbiamo infatti costruito l’Alta velocità, anche se a un costo triplo rispetto a Paesi quali la Spagna e la Francia.
A parte quel dettaglio non esattamente trascurabile, da sommare ai vent’anni che ci sono voluti, siamo ovviamente felici che sia stata fatta. Almeno da questo punto di vista l’Italia si è avvicinata all’Europa. In compenso, ci siamo del tutto e volutamente dimenticati della parte numericamente più rilevante dell’utenza, ovvero quei milioni di pendolari che prendono ogni giorno il treno. In condizioni non sempre degne del genere umano. La mancanza di una seria politica del trasporto locale li ha precipitati in un girone dantesco fatto di carrozze sfasciate gelate d’inverno e roventi d’estate, convogli sudici, stracolmi e perennemente in ritardo. Un girone nel quale si accalcano operatori improbabili, non importa se pubblici o privati.
Il tutto in una demenziale ripartizione regionale frutto di un federalismo insensato e accattone. E se non esiste neppure un divario apprezzabile fra Nord e Sud (prova ne sia il fatto che dal 2010 sono state eliminate 15 linee in Piemonte, dove le tariffe sono salite del 47 per cento), di sicuro il Mezzogiorno è sempre più vicino all’Inferno.
Adesso ascolteremo le promesse di rito. La cosa grave, temiamo, è che domani, dopo il dolore e i funerali, tutto tornerà come prima .