Corriere 13.7.16
«Vi spiego perché non accettiamo questo verdetto»
di Li Ruiyu
Ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia
L’
arbitrato sulla questione del Mar Cinese meridionale danneggia la pace e
la stabilità nella regione. L’uso di un antico detto cinese, «gli
alberi desiderano la quiete ma il vento non si ferma», è piuttosto
appropriato per descrivere la situazione odierna nel Mar Cinese
meridionale. La pace e la stabilità nella regione sono di grande
interesse per la Cina ed è quanto auspica la stragrande maggioranza dei
Paesi rivieraschi. Tuttavia, l’arbitrato avviato dalle Filippine sulla
questione e il comportamento di istigazione di alcuni Paesi
extraregionali hanno agitato il Mar Cinese meridionale.
Il 12
luglio il Tribunale arbitrale, costituitosi su richiesta unilaterale
delle Filippine, ha reso pubblica la propria decisione. Tale arbitrato è
sin dall’inizio illegale. In primo luogo, si contravviene agli accordi
già raggiunti tra Cina e Filippine. Sin dal 1995, le due parti si sono
espresse attraverso dichiarazioni bilaterali per la soluzione negoziale,
prescritta pure dalla Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar
Cinese meridionale firmata nel 2002 da Cina e Paesi Asean incluse le
Filippine, la quale stabilisce chiaramente come le dispute territoriali
debbano essere risolte in maniera pacifica tramite il ricorso a
negoziati amichevoli. Nel 2011 le Filippine hanno pubblicato insieme con
la Cina una dichiarazione congiunta che confermava la stessa soluzione
negoziale. Secondo, si violano le disposizioni della Convenzione Onu sul
diritto del mare (Unclos). L’arbitrato riguarda la sovranità
territoriale e la delimitazione delle acque territoriali. Il tema
territoriale rientra tra gli ambiti regolati dal diritto consuetudinario
internazionale e non dalla Unclos. Quanto alla delimitazione delle
acque territoriali, nel 2006 la Cina, come una trentina di altri Paesi,
ha escluso procedure cogenti per la soluzione di contese del genere.
È
deplorevole che il Tribunale arbitrale, non tenendo conto del fatto che
la Cina e le Filippine avessero già optato per il ricorso ai negoziati
per risolvere le loro dispute, abbia forzato la propria giurisdizione
processuale ed esecutiva, violando gravemente sia la Unclos che il
diritto della Cina, come Stato sovrano e Paese aderente alla Unclos, di
scegliere autonomamente le modalità per la soluzione delle dispute,
facendo carta straccia delle dichiarazioni di eccezione. L’arbitrato ha
negato nei fatti il diritto di disporre liberamente delle procedure di
soluzione di cui godono gli Stati firmatari. È per questi motivi che la
Cina non accetta l’arbitrato, non vi prende parte e non ne riconosce
l’esito. E questo a tutela dell’autorità del diritto internazionale e
della stessa integrità della Unclos.
Queste problematiche emergono
dagli anni 70 del Novecento, quando alcuni Paesi, come le Filippine,
violando la Carta dell’Onu e i principi fondamentali delle relazioni
internazionali, hanno iniziato ad occupare illegalmente isole e
scogliere dell’arcipelago del Mar Cinese meridionale. Invece il governo
cinese è stato il primo a proporre e sostenere una politica che «metta
da parte le dispute e persegua lo sviluppo congiunto», sostenendo il
ricorso a negoziati per risolvere le dispute. Queste sono politiche
fondamentali cinesi per una soluzione della questione, oltre che una
seria promessa. La decisione dell’arbitrato non cambierà la storia né la
realtà di fatto: la sovranità sull’arcipelago in questione appartiene
alla Cina, non influenzerà la volontà con la quale la Cina difenderà la
propria sovranità e i propri diritti marittimi, né le suddette politiche
.