Corriere 12.7.16
Gli errori sul confine del mare
di Massimo Franco
La
miscela composta da bomba demografica più terrorismo di matrice
islamica sta rimodellando la frontiera geopolitica europea. E costringe a
ristabilire gerarchie strategiche che sembravano archiviate. Dopo
l’entusiasmo per l’«allargamento a Est» tra il 2004 e il 2008 e le
vecchie e nuove pulsioni antirusse della Polonia e dei Paesi baltici, si
era assistito a una torsione del Vecchio Continente. Il «cuore»
geopolitico si era spostato a Nord e nell’area orientale. E il Mar
Mediterraneo era stato declassato a periferia irrilevante, facendo
perdere qualsiasi centralità al fronte meridionale europeo.
Di
questi equilibri, il vertice della Nato appena chiuso a Varsavia doveva
celebrare la consacrazione. Invece, di colpo è apparso eccentrico
rispetto alle sfide che l’Europa ha davanti. La riunione nella capitale
polacca si è presentata come un prolungamento postumo della Guerra
fredda, mentre il «muro liquido» che corre dalla Turchia alla Spagna, e
dal Libano al Marocco, rivendica il proprio primato. Lo Stato Islamico
costringe a riconoscere gli errori dell’Occidente e le contraddizioni di
molti Paesi arabi; e a riportare l’attenzione nel profondo Sud
marittimo.
Ci si era illusi per qualche anno di poter trascurare
quel «Mare Nostrum» ribattezzato «Mare Mortuum» pensando ai migranti
annegati nella traversata. Da quella sottovalutazione colpevole è
spuntato come un virus letale e globale lo Stato Islamico.
E il
Mediterraneo si conferma il luogo nel quale si specchia il Vecchio
Continente: anche quando si rifiuta di farlo, fingendo che quanto accade
in quelle acque riguardi l’Italia o la Grecia e la Spagna, e non
Germania o Olanda; e che coordinare le politiche mediterranee sia una
sorta di carità economico -strategica concessa ai sobborghi poveri
europei, e non a se stessa.
La storia si sta prendendo un’amara
rivincita. Il fronte sud si ripropone come epicentro delle ambizioni
marittime della Federazione Russa, e di una migrazione di dimensioni
epocali e strutturali; e soprattutto del terrorismo. Quando si
riuniscono a Roma quarantatré Parlamenti dell’Unione per il Mediterraneo
sotto la presidenza degli italiani Pietro Grasso (Senato) e Laura
Boldrini (Camera), e si accorgono di avere interessi comuni ma di essere
divisi, il ritorno alla realtà è brusco: brusco ma salutare. Costringe a
rileggere parole come dialogo e cooperazione in modo meno superficiale;
a chiedersi se le «primavere arabe» del 2011 siano sfiorite solo per la
litigiosità tribale, o anche per egoismi e miopia occidentali.
Domande
non oziose, se in Tunisia l’esperimento della democrazia ha successo,
mentre è fallito in Libia e in Egitto. Vista da lì, l’Europa è un vicino
egocentrico, litigioso eppure indispensabile. Diviso da una vistosa
frattura tra nazioni di Nord e Sud; eppure chiamato, nelle parole del
premio Nobel per la pace, il tunisino Abdessattar ben Moussa, a «una
strategia consensuale contro il terrorismo». Forse perché il jihadismo,
secondo il sociologo Olivier Roy, «è l’unica ideologia globale»
antisistema. E molti dei ventimila «combattenti stranieri» dell’Isis
percorrono le rotte mediterranee.
Si tratta, per il
sottosegretario ai servizi segreti, Marco Minniti, della più numerosa
«legione straniera» mai conosciuta. Per combatterla serve un
coordinamento che non può permettersi distinzioni tra Est e Ovest; e
soprattutto deve sancire «un’alleanza chiara e netta con il mondo arabo.
Altrimenti si perde». Sarà una sfida prolungata, che richiede un
«pensiero lungo» quanto quello, aberrante e sanguinario, che l’Isis
cerca di inculcare col suo Califfato. In questo conflitto, il
Mediterraneo avrà il ruolo di confine cruciale. E l’Italia, lo voglia o
no, ne sarà l’avamposto.