Corriere 12.7.16
Tensioni curde un problema per l’Italia
di Lorenzo Cremonesi
Entro
fine settembre i tecnici della Trevi e i soldati italiani saranno
pienamente impegnati nei lavori di manutenzione della diga di Mosul. Un
contratto che costerà all’Iraq oltre 273 milioni di dollari per mettere
in sicurezza il più importante bacino idrico del Paese.
Non
mancano però difficoltà per la missione. Sino a pochi mesi fa pareva
prevalessero quelle di natura militare, con le avanguardie di Isis
posizionate ad una ventina di chilometri dallo sbarramento sul Tigri.
Tuttavia, con l’indebolimento delle capacità offensive del Califfato,
crescono le controversie di ordine politico. Resta infatti dominante
l’annosa questione delle spinte autonomistiche dell’enclave curda nel
Nord, dove la diga è situata. Il suo presidente eletto, Masoud Barzani,
ha reiterato l’intenzione di compiere al più presto il passo conclusivo
del divorzio per la creazione di uno Stato indipendente da Bagdad. Mossa
che rischia di scatenare una nuova guerra regionale, con sciiti e
sunniti iracheni per una volta in gran parte uniti contro gli
scissionisti. Ma a ciò si aggiunge ora una variabile ancora più foriera
di imprevisti. Nel fronte curdo tornano a prevalere antiche divisioni
mai sopite. Tra Barzani in controllo di Erbil e il clan rivale dei
Talabani acquartierati a Suleymaniye lo scontro è rinfocolato dalla
crisi economica. Barzani da oltre tre anni ha scelto di vendere il
proprio greggio direttamente all’estero, senza la supervisione del
governo centrale. Da allora Bagdad ha tagliato i 10 miliardi di dollari
che garantiva annualmente. Il crollo del prezzo del petrolio ha poi
moltiplicato il deficit. Risultato: il miracolo economico del Nord è
morto e sepolto. A Erbil mancano anche i fondi per «comprare» l’alleanza
di Suleymaniye. Crescono nel frattempo le divergenze con i curdi
siriani e con il Pkk in Turchia. L’universo del «popolo delle montagne»
si rivela più inaffidabile e fragile che mai.