Corriere 11.7.16
L’Austria e l’«Anschluss» Vittima o complice?
risponde Sergio Romano
Ho
l’impressione che dopo la Seconda guerra mondiale l’Austria ebbe un
trattamento meno punitivo della Germania sulle responsabilità della
guerra. Hitler era un austriaco, fece uccidere il cancelliere Dolfuss
(il presidente austriaco, che era contrario all’Anschluss,
l’annessione), e il popolo austriaco accolse Hitler con grande
esultanza. Molti criminali
di guerra, come Eichmann, erano
austriaci, ma anche l’opinione pubblica internazionale sembrò
considerare l’Austria meno responsabile. Le risulta questo aspetto?
Quali furono le ragioni storiche di questo particolare comportamento?
Alessandro Pipino Montebelluna (Tv)
Caro Pipino,
Prima
della Grande guerra l’imperatore Francesco Giuseppe disse a un
ambasciatore francese: «Io sono, dopo tutto, un principe tedesco». Il
suo impero era multietnico e multireligioso; comprendeva accanto ai suoi
sudditi di lingua tedesca popolazioni ungheresi, polacche, ucraine,
italiane, romene, croate e slovene. Ma le sue radici erano nel mondo
germanico. Era naturale quindi che molti austriaci nel 1919, dopo la
disintegrazione dell’Impero austro-ungarico, si considerassero cittadini
di una provincia tedesca. Se vi fosse stato un referendum in quel
momento, la maggioranza, probabilmente, avrebbe votato per l’unione con
la Germania. Ma i vincitori proibirono espressamente una tale
prospettiva. Non è sorprendente quindi che l’ingresso di Hitler a Vienna
nel marzo del 1938 sia stato salutato entusiasticamente da una parte
della popolazione, non tutta necessariamente nazista.
Dopo la fine
della Seconda guerra mondiale, i vincitori non mutarono opinione. Per
evitare nuovi movimenti unionisti occorreva tuttavia diffondere la
convinzione che l’Austria, anziché complice del Terzo Reich, fosse stata
la sua prima vittima. È questa la ragione per cui il Paese, nel 1947,
non fu tra quelli che dovettero negoziare con i vincitori un trattato di
pace. La questione della frontiera con l’Italia fu lasciata ai due
governi e saggiamente affrontata da Alcide De Gasperi, allora ministro
degli Esteri oltre che presidente del Consiglio, e dal ministro
austriaco Karl Gruber. I due si accordarono a Parigi sulla concessione
di uno statuto di autonomia alla provincia di Bolzano.
La storia
ha corretto il giudizio sull’Austria in un modo inatteso. È accaduto
quando un uomo politico, Kurt Waldheim, divenne presidente della
Repubblica austriaca nel 1986. Era reduce da una brillante carriera
internazionale (segretario generale dell’Onu per due mandati) e godeva
di un largo consenso nel suo Paese. Ma una campagna di stampa, in Europa
e negli Stati Uniti, lo accusò di avere combattuto con la Wehrmacht in
Grecia e di avere partecipato alla repressione del movimento partigiano.
Waldheim ammise di aver fatto parte di un corpo tedesco nei Balcani, ma
negò di avere partecipato alle rappresaglie. La classe politica
austriaca lo difese e soprattutto rivendicò di fronte agli accusatori di
Waldheim il diritto di scegliere il proprio presidente.
Ancora
una osservazione, caro Pipino. Adolf Eichmann era tedesco, non
austriaco. Nacque a Solingen, in Renania-Westfalia, nel 1906 e fu
mandato in Austria nel 1938 per applicare agli ebrei di Vienna e più
generalmente all’ebraismo austriaco, le leggi del Reich sull’ebraismo
tedesco.