lunedì 11 luglio 2016

Corriere 11.7.16
il rischio del giappone che archivia il pacifismo
di Guido Santevecchi

Il risultato delle elezioni in Giappone sembra dare al primo ministro nazionalista Shinzo Abe l’opportunità che ha sempre sognato: riscrivere la Costituzione pacifista imposta dagli americani nel 1947. Abe non ha mai nascosto di ritenere l’Articolo 9 della Carta un’umiliazione, perché ha costretto la terza potenza economica del mondo a un ruolo di osservatore passivo nelle crisi internazionali e spesso di finanziatore delle iniziative Usa.
La possibile fine del pacifismo giapponese suscita brividi in Asia, dove è ancora viva, soprattutto in Cina, la memoria dei dolori e disastri causati dal militarismo e dal colonialismo del Sol Levante nel secolo scorso quando infiammarono il Pacifico. Ma anche restare ancorati a un pacifismo a tutti i costi sembra anacronistico vista la situazione intorno al Giappone: la Corea del Nord continua a lanciare missili balistici (l’ultimo sabato da un sottomarino) e perfeziona l’arsenale nucleare; Pechino rivendica isole nel Mar Cinese meridionale e anche vicino alle coste del Giappone (le Senkaku/Diaoyu) e in questi giorni ha schierato un centinaio di navi impegnate in manovre a fuoco intorno alle isole Paracel. La settimana scorsa è stato sfiorato uno scontro tra jet cinesi e giapponesi sulle isole contese e basterebbe una collisione in volo per un errore di valutazione di un pilota a far sprofondare le Borse mondiali; Tokyo assiste impotente anche agli assalti del terrorismo islamico nel mondo, piange i suoi cittadini rapiti e assassinati in Medio Oriente e ha appena ricevuto le bare di sette vittime nell’ultimo attentato in Bangladesh. C’è una finta pace anche nel Pacifico.
E domani la Corte di arbitrato Onu per la Legge del Mare deciderà sul ricorso di Manila contro l’occupazione cinese di scogli nelle secche di Scarborough, a poche centinaia di chilometri dalle coste filippine: la sentenza sarà secondo tutte le previsioni a favore di Manila e Pechino ha già detto che la riterrà «carta straccia». La Cina rivendica il 90% del Mar Cinese meridionale, una via lungo la quale passano ogni anno 5 mila miliardi di merci, compresi i vitali rifornimenti petroliferi per il Giappone.
Più che alle prossime mosse di Abe sulla Costituzione, presumibilmente caute, è alla decisione di domani dei giudici internazionali dell’Aia che bisognerà guardare. Rifiutandola, Pechino si metterà fuori dalla legge delle Nazioni Unite e darà un’altra spinta alla corsa al riarmo nella regione.
Ma è anche vero che nel mondo globalizzato il fatto che il primo ministro del Giappone terza economia del pianeta possa distrarre la sua azione di governo dalla crescita, dirottandola su una riforma costituzionale impopolare, è comunque un rischio destabilizzante.