Corriere 10.7.16
Il «Conte Rossi» e un cattolico francese
risponde Sergio Romano
Sto
rileggendo il celebre libro Les grands cimetières sous la lune di
Georges Bernanos. L’autore cita spesso un comandante italiano delle
Camicie nere sbarcato a Palma de Maiorca che si faceva chiamare
«generale conte Rossi». Secondo Bernanos, costui non era né generale, né
conte, né Rossi, ma un personaggio grottesco e sanguinario. Chi era
costui? Che fine ha fatto? Le sarò grato per qualche notizia su questo
personaggio che si direbbe appartenere a quella categoria di
connazionali dei quali dovrebbe essere vietata l’esportazione .
Bernardino Osio
Caro Osio,
«El
conde Rossi», come lo chiamavano gli spagnoli, era in realtà
Arconovaldo Bonaccorsi, una sorta di capitan Fracassa che non aveva mai
smesso di menare le mani dal giorno in cui era partito volontario nella
Grande guerra. Non era generale, ma negli anni Trenta, grazie al suo
passato squadrista e alla sua militanza nel partito fascista, era
diventato console generale della Mvsn (Milizia volontaria per la
sicurezza nazionale): un grado che corrispondeva grosso modo a quello di
generale di brigata nelle Forze armate. Arrivò a Maiorca, nelle isole
Baleari, quando una delegazione di franchisti spagnoli chiese aiuto al
governo italiano per riconquistare il controllo dell’isola. La scelta
cadde su Rossi-Bonaccorsi che accettò l’incarico entusiasticamente.
Aveva una folta barba rossa, indossava una camicia nera decorata sul
petto da un fascio e da una grande croce bianca, portava l’elmetto e
cominciò a scorrazzare attraverso l’isola su un cavallo o su una
macchina da corsa, alla testa di una legione composta da volontari
italiani e spagnoli. Conosceva il mestiere e riuscì a cacciare i
repubblicani da Maiorca. Ma non si limitò a vincere una battaglia.
Terminati gli scontri sul terreno, cominciò a terrorizzare l’isola con
processi sommari e sanguinose «spedizioni punitive».
Quanto a
Georges Bernanos, caro Osio, la sua testimonianza è paradossalmente
quella di uno scrittore cattolico che aveva ammirato Edouard Drumont,
esponente dell’antisemitismo francese, aveva militato per qualche tempo
nell’Action Française (l’associazione monarchica di Charles Maurras) e
non aveva nascosto, agli inizi della guerra civile, la sua simpatia per
il sollevamento franchista. Aveva un figlio falangista, aveva assistito
con indignazione ai massacri di suore e sacerdoti nei primi mesi della
guerra civile e non aveva disapprovato gli aiuti militari dell’Italia
alla reazione franchista. Ma non poteva tollerare che i crociati del
«conte Rossi» dichiarassero di uccidere e massacrare in nome di Cristo.
Dopo avere letto il libro di Bernanos, Simone Weil, l’intellettuale
francese che partecipò alla guerra di Spagna in una colonna anarchica
sul fronte aragonese, gli scrisse nel 1937: «Voi siete monarchico,
discepolo di Drumont – ma che cosa m’importa? Voi mi siete
incomparabilmente più vicino dei miei compatrioti delle milizie di
Aragona» .