Corriere La Lettura 3.7.16
Colta e poliglotta voleva giustizia. E alla fine liberò i suoi servi
di Amedeo Feniello
Ricostruire
la figura di Matilde è come seguire un puzzle. Di una vita lunga 69
anni, tra l’anno della sua nascita, tra il 1045 e il 1046, forse a
Mantova, e la data della sua morte, il 24 luglio 1115, a Bondeno di
Roncore. Ma che donna fu? La donna di Donizone, autore della Vita di
Matilde , tutta virtù teologali e cardinali? La virago prudentissima di
Ugo di Flavigny? La «sposa di Cristo» e l’«ancella di San Pietro»,
simile, per virtù, alle donne esemplari della Bibbia? O la queen warrior
di alcuni autori contemporanei?
Immagini stereotipate e
molteplici, spesso costruite sul topos . E allora il puzzle si
infittisce. Spingendo la nostra curiosità alla ricerca della Matilde
concreta. Da bambina, come fu? Paolo Golinelli, uno dei maggiori
studiosi di Matilde, le attribuisce un’infanzia felice, almeno fino ai
sei anni, quando il padre fu assassinato. Un’infanzia, e poi
un’adolescenza, fondata su una profonda educazione. Cosa che apre uno
spiraglio su un Medioevo al femminile tutt’altro che scontato. Conosceva
infatti più lingue. Quelle correnti, dei volgari incipienti. Per
Donizone «il linguaggio dei Teutoni e la garrula lingua dei Franchi».
Poi il latino e la lingua dei Longobardi. E non basta. Perché il
ritratto di questa donna si addensa. Fu, infatti, amante dei libri e
della musica, «collezionò sempre buoni libri in abbondanza» e tanti
altri ne ricevette in dono, «d’ogni arte e miniati».
Spiragli di
luce. Che convergono sull’immagine di una donna dai caratteri certo
peculiari, ma circondata da un universo femminile che condivideva lo
stesso mondo di affetti, gusti, passioni. Come la contessa Adelaide di
Susa, della stirpe degli Arduinidi; o la prima moglie di Enrico IV,
Berta. Contesto in cui i due mariti di Matilde spesso sono relegati
dietro le quinte. Tanto il primo, il suo fratellastro Goffredo il Gobbo,
da cui ebbe una bimba morta piccolissima. Quanto al secondo, il giovane
Guelfo di Baviera, sposato a 43 anni nel 1089.
Tuttavia, quando
si parla di Matilde si parla del suo potere. Con un’influenza che si
estese dal Lazio alle colline mantovane, oltre il Po. Costruito dalla
stirpe dei Canossa, con un’ascesa rapida, compiuta in poco meno di
ottant’anni. Da oscuri vassalli regi a principi di una grande compagine
territoriale. E Matilde regna. Nel momento del massimo contrasto che
vede opposti il Papato e l’Impero. Con l’episodio centrale che
campeggia. Il pentimento, dopo la scomunica papale, di Enrico IV, del
gennaio 1077. Un avvenimento di cui ogni cronista, storico o poeta ha
dato una sua versione. E «l’andare a Canossa» si è trasformato nel
simbolo dell’umiliazione e del ravvedimento. Evento che, oggi, appare
demitizzato. Lo ha spiegato bene Ovidio Capitani. Non avvenne alcuna
rivoluzione. Nessuno choc. E ognuno dei protagonisti, Matilde, Enrico IV
e il Papa Gregorio VII, giocò la propria parte. Che aveva un fine:
stipulare la pace, che sospendesse lo scontro in atto. Con Matilde come
mediatrice politica tra i contendenti.
Matilde la grande. Ma anche
Matilde figlia di un’epoca che sta pian piano scomparendo. Nel corso
stesso della sua vita. Quando, agli inizi del XII secolo, capì che il
suo dominio non poteva sopravviverle. Negli ultimi anni il suo potere
sembra infatti perdere portanza. Il patrimonio frantumato, a causa delle
tante donazioni a fondazioni religiose. Con uno sgretolamento di quanto
era stato accumulato dai suoi antenati. E emergono forze nuove. Alleate
di Matilde nella lotta per la riforma della Chiesa. Che reclamano però
nuovo spazio politico. Le città e i comuni.
Con quale
atteggiamento Matilde visse questi mutamenti? Con l’angoscia della
signora feudale? Forse no. Credo, invece, sostenendo sempre il suo primo
e principale ideale. Quello universale della Chiesa gregoriana. Ma fu
donna che perseguì anche altre strade, di giustizia umana. Se è vero che
uno dei suoi ultimi gesti fu di liberare i suoi servi e le sue ancelle.
Fatto, come scrive Golinelli, che suggella l’esistenza di una donna
che, fattasi lei stessa serva per le sue idee, «comprendeva più di tutti
cosa significasse servire».