lunedì 4 luglio 2016

Avvenire.it 3.7.16
La sfida jhaiadista la forza che ci serve
No al nulla atroce
di Gianfranco Marcelli


Lo sgomento e l'angoscia attanagliano l'anima del Paese, di fronte alla più grave strage di nostri connazionali civili perpetrata in un attentato terroristico all'estero. L'ora triste e terribile che ci è dato di vivere viene giustamente sottolineata dalle bandiere a mezz'asta nei palazzi delle nostre istituzioni e dalla decisione del presidente della Repubblica di interrompere la sua visita in America Latina, «per partecipare al lutto della Nazione e per rendere omaggio alle vittime». E la mente torna con orrore ai giorni dell'eccidio consumato a Nasiryiah il 12 novembre di tredici anni fa, costato la vita a 19 italiani, quasi tutti militari. Allora tuttavia poteva, se non consolare, offrire almeno una parvenza di comprensibilità il fatto che si stava affrontando un periglioso dopoguerra, in un territorio spesso ostile e tutt'altro che pacificato dopo quella che abbiamo chiamato la "seconda guerra del Golfo". Oggi, invece, la ragione cerca invano un appiglio, per decifrare dentro un'azione così crudele gli improbabili "codici" che la giustificano. Il pensiero, ancora una volta, semplicemente si ribella all'idea di un'etica nichilista che fa strame indifferentemente della vita altrui e della propria. Un annientamento esistenziale che dovrebbe indurre a profonda riflessione, nel nostro Occidente più sazio e disperato che mai, i fautori di un'altra e quasi speculare forma di nichilismo: quella ansiosa di azzerare ogni saldo valore da cui tutti noi italiani ed europei proveniamo.Eppure sono gli stessi valori umani e culturali che, consapevolmente o meno, hanno dato ai nostri nove concittadini trucidati a Dacca le capacità, l'apertura mentale, lo spirito di iniziativa necessari per portare a ottomila chilometri di distanza il frutto delle loro abilità professionali. Pronti a confrontarle e a scambiarle con interlocutori di usanze di fede diverse, certo con obiettivi commerciali e interessi economici evidenti, ma altrettanto sicuramente senza desiderio di sopraffazione o sete di dominio. Soprattutto, con mani e cuore disarmati. Che cosa opporre, allora, a questa folle e reiterata minaccia di «ucciderci perfino nei nostri sogni», come ha commentato via internet l'ignoto corifeo degli assassini bengalesi? In che modo agire per «non lasciare che vincano loro», come supplicava ieri fra le lacrime la nipote di una delle vittime? Se è vero – ed è senz'altro vero – che «i nostri valori sono più forti delle loro fobie», parole di Matteo Renzi a nome del governo italiano, sarà necessario, da subito, tornare a rispettarli e a coltivarli nell'azione pubblica e nei comportamenti quotidiani. Ma prima ancora sarà indispensabile uno sforzo collettivo, tanto umile quanto sincero, per tornare a riconoscerli insieme con nettezza, rinunciando alle miopie e alle forzature ideologiche degli "spacciatori del nulla", spesso figlie è sempre funzionali a oscuri grumi di interessi internazionali che puntano solo ad arricchirsi, magari a spese di quegli stessi popoli resi poi facili prede dei fomentatori di violenza e di odio. Soccorre in questo l'ennesimo appello di papa Francesco, risuonato ieri, ad attingere all'«immenso patrimonio europeo, permeato di cristianesimo», tuttora e nonostante tutto «capace di ispirare la cultura e di donare i suoi tesori all'umanità intera». Lo esigono tutti i morti di Dacca lo sperano senza saperlo persino i loro carnefici.