Avvenire.it 02.07.16
Matthew Thomas
L’altra faccia del sogno americano
di Daniela Pizzagli
Scelto
fra gli autori di punta della serata-evento di ieri sera al Teatro
Franco Parenti di Milano per festeggiare i settant'anni della casa
editrice Neri Pozza, Matthew Thomas rappresenta, con il suo romanzo
d'esordio Non siamo più noi stessi (Neri Pozza, pagine 752, euro 14,50)
un percorso narrativo che evita gli stereotipi di tanta letteratura
postmoderna, intrappolata fra variegate dipendenze e compiaciute
perversità, per raccontare la storia di una donna e della sua famiglia
in modo tradizionale, dall'infanzia alla maturità, con l'intento di
mettere in scena gli inciampi del 'grande sogno americano' di fronte
alla realtà. Il romanzo, molto corposo ma sempre coinvolgente, è subito
entrato nella lista dei best seller del New York Times ed è stato tra i
finalisti dei principali premi americani, per essere poi tradotto in
tutto il mondo. I lettori italiani lo trovano in una nuova edizione
rilegata e corredata dai commenti dei numerosi Book Club Neri Pozza:
un'iniziativa che sottolinea il costante rapporto della casa editrice
con i propri lettori. L'autore, quarantunenne newyorkese, ex insegnante
di letteratura, non ci tiene ad affiliarsi all'élite intellettuale della
Grande Mela, sfugge agli orpelli di Manhattan e ambienta la sua storia
nel Queens, un quartiere di emigrati dove nel 1951 troviamo la piccola
Eileen, figlia d'irlandesi il cui cognome Tumulty già fa capire che la
protagonista è destinata a un'infanzia difficile e turbolenta. Ma lei
riuscirà coraggiosamente a sopportarla perché sorretta appunto da quel
'sogno americano' che la porta a lottare per migliorare il proprio
destino, prima attraverso il lavoro d'infermiera e poi nel matrimonio
con un promettente ricercatore e docente universitario. «Sono partito
dalla riflessione che il cosiddetto 'sogno americano' di poter
raggiungere qualsiasi meta con la volontà e l'intraprendenza – dichiara
Thomas – non soltanto è contraddetto dai fatti, ma non può nemmeno
essere definito propriamente 'americano', perché si tratta di
un'aspirazione tipicamente umana. È vero che ci sono Paesi che offrono
condizioni più vantaggiose di altre, ma l'uomo non desisterà comunque
dall'affrontare rischi per cer- care di migliorare la propria
situazione, lo vediamo anche nelle grandi migrazioni attuali». E il tema
dell'immigrazione è uno dei fili conduttori del romanzo. Si parte
dall'emigrazione negli Usa del secondo dopoguerra, rappresentata dai
genitori di Eileen, per arrivare agli asiatici che dagli anni '80 si
diffondono nei quartieri periferici di New York, suscitando la
diffidenza di chi – come la protagonista, a sua volta figlia d'immigrati
– li considera invasori destinati a snaturare la cultura dominante. «È
un tema molto sentito da chi, come me, è cresciuto a New York, crogiuolo
di tutte le etnie: io l'ho inserito per infondere energia alla storia
attraverso i diversi personaggi di immigrati. Quando Eileen, ormai più
che cinquantenne, torna alla sua vecchia casa e resta a cena con i nuovi
proprietari indiani, capisce l'infondatezza dei suoi pregiudizi. Oggi
purtroppo il mondo è percorso da questi rigurgiti xenofobi che sono
orribilmente autodistruttivi. I nazionalismi, benchè prospettino
vantaggi immediati, vanno contro la storia, significano solo stagnazione
e quindi decomposizione della cultura». Eileen si batte per avere la
casa di proprietà e tutti gli status symbol dell'agiata borghesia cui
vorrebbe appartenere. Il marito Ed, invece, è ossessivamente dedito alla
sue ricerche e sente l'insegnamento come una missione: rappresentano
due ideali inconciliabili che solo l'amore può tenere insieme? «Gli
obiettivi materialistici di Eileen nascono dalle ristrettezze
dell'infanzia, dall'emarginazione sociale che ha voluto riscattare, ed è
stato più difficile per lei in quanto donna. Ed invece è un idealista
che ha avuto il privilegio di poter coltivare la sua passione per la
ricerca, e non gli interessano gli allori della carriera accademica, con
grande delusione di Eileen. Però Eileen resta convinta che il loro sia
'un amore da scrivere nel grande libro della vita': questa frase fa
comprendere come, pur essendo pragmatica, coltivi in sé il romanticismo
necessario per superare i suoi limiti caratteriali». Proprio quando i
sogni di Eileen sembrano realizzarsi, il destino le riserva un tiro
imprevedibile: al cinquantenne Ed viene diagnosticato l'Alzheimer. Da
qui in poi il romanzo si sviluppa soprattutto sul contesto relazionale,
con le diverse reazioni di Eileen, del loro figlio Connell, degli amici e
dei colleghi nei confronti di Ed che, come dice il titolo, non è più se
stesso. «Questa parte mette a nudo tutti i conflitti interiori dei
personaggi: impauriti, frustrati, insofferenti, dilaniati fra
compassione e sensi di colpa, disorientati di fronte all'inconoscibile.
Di proposito non descrivo mai la soggettività di Ed nello sviluppo della
malattia, ma lo descrivo attraverso le reazioni dei suoi cari, per
mettere il lettore di fronte all'inconoscibilità della coscienza
stessa». Il progredire della malattia e il disgregarsi dell'interazione
sono raccontati con tanta precisione e partecipazione da sembrare frutto
di un'esperienza personale. «È così. Mio padre, morto nel 2002,
soffriva di Alzheimer. Sapevo di voler scrivere a proposito di questa
parte della mia vita, ma non in modo autobiografico: era necessaria una
fiction per prendere le distanze e poterne parlare con oggettività. Non
volevo scrivere un romanzo sull'Alzheimer, ma in cui l'Alzheimer,
intrecciato ad altri temi, fungesse da elemento di squilibrio per
mettere in luce la fragilità dei progetti umani e l'ambivalenza dei
sentimenti. Solo di fronte alla malattia di Ed, Eileen e Connell si
affacciano sui propri lati oscuri mai percepiti prima.» Nato da due
genitori con obiettivi tanto diversi, Connell è un personaggio che in un
certo senso compie una sintesi: dopo un difficile percorso scolastico,
in cui è vittima di bullismo, e un dispersivo cammino di
autoconsapevolezza, si realizzerà nell'insegnamento. «Il bullismo è una
vera piaga nella scuola americana, ma penso ovunque. I bulli se la
prendono con i più vulnerabili e Connell, a causa della malattia del
padre, è fragile e destabilizzato, perciò il bullismo di cui è vittima
rischia di rovinargli la vita, di tarpargli il futuro. Ma proprio
attraverso la malattia del padre Connell ha avuto, quasi senza
accorgersene, un addestramento all'empatia, e sarà proprio l'empatia a
salvarlo, e a fargli scegliere la strada dell'insegnamento ».