Avvenire.it 30.06.16
Le fasciste di Salò. Criminali impunite
di R. Festorazzi
Sulle
donne che militarono, in varie forme, nella Repubblica sociale
italiana, sono stati versati fiumi di inchiostro. Cecilia Nubola, in un
suo volume edito da Laterza ( Fasciste di Salò, 234 pagine, 20 euro),
scrive ora una "storia giudiziaria" di queste "donne in armi", prendendo
in considerazione una quarantina di vicende individuali, ricostruite
attraverso i fascicoli dell'Ufficio Grazie del ministero della
Giustizia, che trattano appunto i provvedimenti di clemenza di cui
beneficiarono. Dalla lettura del testo di Nubola, si ricava una
considerazione finale, che qui conviene anticipare. Ossia, che la
missione del giudicare appartiene più al divino che all'umano. Perché,
la materia dell'accertamento delle reali colpe e responsabilità
personali di queste donne è talmente ostica e complicata, da suggerire
grande prudenza. La tesi di fondo dell'autrice è infatti la seguente:
dopo l'amnistia di Togliatti del 1946, che condonò la maggior parte dei
reati (politici, militari e comuni) compiuti durante la guerra, e nei
mesi immediatamente successivi, il clima nel Paese mutò così
radicalmente, da imporre un generale "colpo di spugna" anche su quei
crimini, particolarmente efferati, che non ricadevano nelle fattispecie
previste dal provvedimento di clemenza che porta la firma del leader
comunista. E, difatti, le "fasciste di Salò", processate, condannate e
detenute, riguadagnarono la libertà, entro il 1956-57, nonostante
fossero state punite per aver commesso reati come strage, sevizie,
saccheggi, e delitti compiuti a scopo di lucro. Questo è indubbiamente
vero, ma è soltanto un corno del dilemma. Perché, se l'amnistia
togliattiana, e i successivi atti di clemenza adottati dai ministri
repubblicani, valsero a "raffreddare" il clima di aspra contrapposizione
politica, calmando le fazioni che avevano dato luogo alla guerra civile
1943-45, questo è soltanto perché, per l'appunto, l'atmosfera del Paese
era stata surriscaldata fino al punto di ebollizione. Del resto, i
cosiddetti organi di giurisdizione speciale, attivi in Italia con le
Corti di assise straordinaria, furono in realtà strumenti che operavano
in circostanze eccezionali, quasi rivoluzionarie: i pubblici ministeri
vi signoreggiavano, mentre la difesa degli imputati era ridotta spesso a
entità simulacrale. Senza considerare che la formazione delle prove,
acquisite testimonialmente, era priva di garanzie legali: i processi,
nelle città del Nord, venivano trasmessi nelle piazze con gli
altoparlanti, e chiunque, anche durante lo svolgimento delle udienze,
poteva improvvisare una deposizione "a carico" del reo alla sbarra,
salendo sul predellino senza essersi nemmeno annunciato alle parti.
Dunque, furono commessi abusi ed eccessi, ai danni di fascisti, uomini e
donne, che in realtà non avevano gravi macchie sulla coscienza. Ciò non
significa, naturalmente, che non siano stati assicurati alla giustizia
perfetti delinquenti che meritavano le pene più severe. Significa
semplicemente ammettere che le Corti di assise straordinaria
sovrabbondarono, nella misura delle sanzioni, co- sì come emerge dagli
esiti processuali che produssero, e solo alla luce di questa
considerazione risulta possibile valutare i successivi provvedimenti di
clemenza. Detto questo, il lavoro di Nubola è interessante per la
galleria di storie umane che presenta, con relative elencazioni di
crimini che oggi sconcertano, anche perché non esemplari di virtù
femminili. Le donne di Salò, prese in esame, si dedicarono ad atti
odiosi: furono delatrici, denunciatrici di ebrei e carnefici, presero
parte ai rastrellamenti di partigiani, collaborarono con i loro
"colleghi" maschi nel cancellare ogni traccia di umanità dal panorama
desolante della guerra combattuta con l'invasore in casa. Esemplare, a
tale proposito, il caso delle due figlie di Mario Carità, il capo di una
delle bande di tagliagole che proliferavano nel sottobosco criminale
della Rsi. Le violenze per le quali furono condannate sono talmente
rivoltanti da rendere inevitabile una domanda, che tuttavia non cancella
le considerazioni di cui sopra: fu veramente equo aver loro concesso
scappatoie giuridiche che le resero nuovamente donne libere, nel breve
volgere d’una stagione? Di grande interesse anche la vicenda di Cornelia
Tanzi, una delle numerose amanti di Mussolini, la quale rese una
delazione che provocò a Roma un rastrellamento tedesco. Già nel luglio
1946, l’antica fiamma del dittatore venne scarcerata, e anche a tale
riguardo sorgono degli interrogativi.