giovedì 16 giugno 2016

Republica 16.6.16
Montréal.
A casa di Ed e Nichi “Siamo fuggiti in Canada per garantire futuro e diritti a nostro figlio Vendola: “Abbiamo trascorso molto tempo con la gestante che poi ci ha mandato il latte per il piccolo. Noi non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà, ma soltanto poter vivere in pace”
di Francesco Merlo

MONTRÉAL. Nella villetta di mattoni rossi, nella zona nord di Montréal, Nichi Vendola mi dice che mai, quando era ragazzo a Terlizzi, avrebbe potuto immaginare «di avere un giorno un marito canadese e un figlio americano». Tobia non è nato qui, ma a Sacramento. E l’atto di nascita è stato compilato all’anagrafe californiana dove «la legge consente di scrivere quello che vuoi». Il padre biologico è Ed. «In questo modo Tobia è più tutelato e non solo perché Ed è canadese e italiano e dunque assicura a Tobia altri due passaporti». Il cognome? «È Testa e non Vendola». Dunque c’era una volta… «C’era una volta un pezzo di legno e due Geppetto. Ti presento Tobia Antonio Testa, figlio di due papà».
Lo porterai in Italia? «Sì, verremo prima della fine del mese. Ma non permetterò che il mondo gli diventi ostile appena tenterà di entrarvi». Scappato da Terlizzi ti sei rifugiato qui in Canada, nella patria dei diritti. «Ammetto che non c’è niente di simile nel vecchio comunismo. Ma io mi sono battuto per i diritti civili per tutta la vita e ho vissuto sulla mia pelle la vergogna per gli insulti sulla mia sessualità». C’è il tuo corregionale Salvemini e, con un po’ di audacia, si può paragonare il tuo Canada alla sua Harvard: sembri più un radicale che un comunista, più Pannella che Berlinguer. «Guarda che io e Ed non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà. Vogliamo solo vivere in pace». Anche a costo di rinunciare all’Italia? «Ho comprato casa a Terlizzi, a duecento metri dal luogo dove nacque mia madre, conosco tutti e tutti mi vogliono bene. A Roma abbiamo un piccolissimo appartamento in centro. Ma non permetteremo che il corpo di nostro figlio diventi una bandiera dei diritti civili». Meglio la fuga? «Meglio tornare a ottomila chilometri dall’Italia in questa casetta piccolina in Canadà che è piena di grazia italiana».
Mobili di legno chiaro, profumi buoni, grande pulizia, niente ninnoli, un tavolo trasformato in fasciatoio, due altoparlanti che diffondono musica classica e lirica. Nichi ha un crisi di rabbia parlando dell’Italia. In un angolo del giardinetto ha curato l’orto: cipolle, aglio, bieta, sedano, melanzane, fagiolini, cinque tipi di pomodori, misticanza, le lattughe, il bok choy che è un cavolo cinese. Dice con un sorriso amaro: «Non c’è una sola erbaccia, qui».
Anna, che è la nonna di Tobia, ha cresciuto due figli in questa villetta: «Adesso fanno solo condomìni. Queste furono costruite per i veterani della seconda guerra mondiale ». È una piccola signora energica, con due grandi occhi scuri, il bel viso pallido e forte. «Per noi è come un dolce paesaggio rassicurante. Con mia madre si capivano con un’occhiata. Io e Ed non abbiamo mai avuto segreti con le nostre mamme». Adesso che a 67 anni è stata pensionata dalla banca per la quale lavorava, nonna Anna aiuta a crescere il bimbo di Nichi e del suo Ed, che è il diminutivo di Eduardo, «uno zio di mio marito». Il nonno, Antonio, è un signore grande e grosso, ha 80 anni e fa il barbiere. Lei viene dall’Abruzzo, lui della provincia di Latina. Nonna Anna è ossessionata dal freddo alle orecchie e dunque di soppiatto, ogni volta che può, copre Tobia col cappellino. L’altra nonna, la mamma di Nichi, è morta 70 giorni prima che nascesse Tobia: «Si era ripresa da tutti i malanni del mondo, anche dall’infarto, ma un’infezione trasmessa con il catetere le fu fatale. La riportammo a casa dove, una a una, ha voluto salutare tutte le persone che l’avevano amata. Sono venuti in più di cento». Le sue ultime parole sono state: «Non permettere che vi facciano del male». Aveva 91 anni.
Nel quartiere della piccola Italia l’arrivo di Tobia «è stato festeggiato come un dono di Dio». La signora Brigida, la signora Carmela e tutte le altre mamme hanno fatto piangere Ed di commozione e di gioia. C’è il bar Italia, dove sia aggirano ceffi poco raccomandabili, «qui purtroppo ci sono sia la ‘ndrangheta sia Cosa nostra». Famosa in tutta la città è la salumeria Milano «dove ho avuto il mio primo lavoro, da commesso », racconta Ed che poi si è laureato in Economia e Commercio ma, dopo alcuni anni in una società di marketing, si è messo a studiare grafica: «Sino alla partenza lavoravo da casa con lo studio di Milano Leftloft ». Ed ha 37 anni, Nichi 58, Tobia tre mesi e mezzo.
Ed e Nichi chiamano zia la Donatrice; e «la nostra Grande Madre» è la Portatrice. Mi mostrano foto e video della loro strana famiglia. «Dimmi se queste non sono immagini benedette dalla grazia». Vedo carezze, abbracci, risate, tanti piccoli e banali gesti romantici. E intanto, accanto a me, Nichi tende Tobia a Ed che allunga subito le braccia. «A Sacramento abbiamo trascorso la più lunga attesa della nostra vita in casa di una coppia gay che ci ha ospitato senza neppure conoscerci. Si chiamano entrambi Bill, hanno più di 60 anni, stanno insieme da quando erano ragazzi, e ci hanno offerto ospitalità per solidarietà allegra e naturale, come se fossimo amici di vecchia data. Pensa cos’è questo nostro mondo: ci hanno fatto trovare anche una culla e un fasciatoio ». Soccorso gay? «Amici di amici. Dall’Italia mi arrivava il rimbombo delle volgarità che mi rovesciavano addosso. C’è qualcosa di storto nel mio Paese che mi ha fatto piangere di dolore. In quei giorni avevo chiuso ogni rapporto con l’Italia. Non rispondevo neppure ai messaggi». Come passavate il tempo a Sacramento? «A entrambi piace molto cucinare. E dunque facevamo una specie di gara nevrotica. Poi, come mi capita nei momenti delicati, tra la morte di mia madre e la nascita di mio figlio ho scritto poesie, che ora sono in mano all’editore».
Avete assistito al parto? «Siamo arrivati un minuto dopo. Avevamo fatto le prove: venti minuti di una strada tutta dritta. Il marito di Thelma, la gestante, ci ha mandato un messaggio: the baby is coming. E, poco prima dei venti minuti: the baby has arrived ». Parto naturale? «Sì. E velocissimo». Quando vi hanno dato il bambino? «L’indomani. Ma non siamo partiti subito. Abbiamo trascorso molto tempo con Thelma e la sua numerosa e bella famiglia». È stato allattato al seno? «No. Ma per un po’ Thelma ci ha mandato il latte».
Utero in affitto? «Capisco che, a parte la bestialità razzista e omofoba ci sia un pezzo d’Italia per bene che possa sentirsi disorientata. E capisco che si spacchino anche la sinistra e il femminismo. Penso che se vedessero, se giudicassero in concreto e non in astratto, capirebbero tutto subito. Prima di decidere, noi abbiamo frequentato molto le famiglie arcobaleno. Avevo i dubbi della mia generazione. Ma è la realtà che ci ha mostrato la strada. La gestazione per altri è la risposta della scienza al bisogno di famiglia, è una difesa della famiglia, che va protetta dalla violenza contro le donne, dal femminicidio, dalla sordida prepotenza domestica, non dalla scienza. La maternità surrogata è praticata soprattutto dalle coppie eterosessuali ed è probabile che tra una ventina di anni, come prevede Umberto Veronesi, sarà molto diffusa e anche in Italia si riderà di tutte queste resistenze. Qui in Canada, come in gran parte del mondo evoluto, nessuno capirebbe le vignette, i titoli dei giornali, gli editoriali infiammati contro la scienza. Certo, è chiaro che possono esserci abusi, come in tutte le cose, come nel trapianto di organi per esempio. Per questo ci vogliono buone leggi, e molta vigilanza ». Forse più che la gestazione surrogata, in Italia, che è il paese delle mamme, si stenta ad accettare la famiglia con due papà. «Ma davvero pensi che dipenda dal sesso il famoso doppio registro psicologico? Non ti sembra superata anche come stereotipo l’idea che la grazia sia femminile e la forza sia maschile, o che siano di genere la malinconia e il coraggio, l’ironia e l’intelligenza, la tenerezza della mamma e la severità del papà? E davvero pensi che io, Ed e Tobia siamo una minaccia per la famiglia?».
A quattro mani fanno il bagno a Tobia, poi lo cambiano, lo puliscono, gli danno la poppata, lo chiamano con soprannomi da burla, gli cantano la ninna nanna, e ancora: moine, baci, carezze con mani di padre che piacerebbero a Rilke il quale benediceva solo le mani delle madri. Il bimbo ha gli occhi blu, sorride spesso, l’ho sentito piangere poco: «Io credo — dice Nichi — che quando piange c’è sempre una ragione, e mi sforzo di capire qual è finché i suoi occhi tondi non si posano, acquietati, su di me».
«Dio — ha detto Papa Francesco — è la mamma che canta la ninna nanna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c’è lì di grande». Ruoli fissati dalla natura? «Non solo paternità e maternità sono fatte di esperienze e non di Dna, ma anche per diventare fratello e sorella oggi non basta l’acido desossiribonucleico, bisogna cercarsi e costruirsi».
La donatrice è una bella ragazza di 26 anni, mamma di una bambina bionda. La gestante, con il bel faccione allegro, «è un’assistente sociale di 29 anni, mamma di tre figli ». Entrambe sono americane. «Ecco, questa è la casa a tre piani del quartiere residenziale di Sacramento dove la portatrice vive con la sua famiglia. Ti sembrano poveri? ». Mi mostrano poi le foto con il pancione di sei mesi: «Ospitare la vita è stato per lei un incantesimo d’amore. Ci sono donne che pensano che aiutare chi non può avere figli sia bello, nobile e generoso. C’è una chat dove discutono tra loro. La nostra portatrice è stata spinta dalla cugina che l’aveva già fatto. Poi intervengono gli esperti, gli psicologi, i medici. Lei sente di avere un legame con Tobia. E anche la donatrice. Ma nessuna delle due pensa o sente di esserne la madre. Tutto è chiaro e pulito e noi vogliamo che Tobia, crescendo, possa conoscere e capire la sua storia biologica». E il marito di Thelma cosa dice? «Dice che sua moglie è felice quando è incinta. E ride e mi abbraccia quando gli racconto che c’è qualcuno nel mio Paese che sostiene che è il diavolo che lavora in lei, e che io gli compro i bambini. Ci frequentiamo più che possiamo, quando siamo andati via hanno fatto una festa in nostro onore. Osserva in questo video come tutti coccolano Tobia. Provo un senso di umiliazione a giustificarmi, ma sono fiero di spiegare: so che se non avessimo fatto quel che abbiamo fatto, Tobia non ci sarebbe».
E di nuovo parliamo di fuga. Montréal è la città dei diritti, ci sono persino i bagni per trans, qui è nato il primo ministro che accoglie i profughi siriani dicendo loro: «Non siete ospiti, questa città è vostra. Prendetevela». Nell’immensa letteratura sulle fughe c’è anche Mediterraneo, l’Oscar di Salvatores, il film per chi rimane imprigionato dall’esilio. «Prendila come una battuta, ma la fuga che mi somiglia di più è la fuga in Egitto. Anche io come Giuseppe sono padre putativo». Nell’Antico Testamento ci sono le madri sterili, Sara, Rebecca, Rachele, che — ha scritto Massimo Recalcati, «diventano madri grazie a una Legge che infrange la Legge di Natura e dunque sposta l’accesso alla maternità dalla natura al desiderio».
Egoismo? «Il desiderio di paternità è il contrario dell’egoismo. Prima pensavamo all’adozione. Stiamo insieme da dodici anni e volevamo un figlio. Sia per gli eterosessuali, sia per gli omosessuali, sia per i padri sterili e sia per quelli fertili la voglia di avere figli è amore per la vita, il presupposto per la sopravvivenza dell’umanità».
Mi mostrano le foto di Tobia che, appena nato, è adagiato su Thelma. «Ne abbiamo incontrate tante, e Thelma tante volte, prima di scegliere. L’agenzia di Sacramento è molto seria e le leggi californiane non consentono quel mercato che ci fa orrore e che viene praticato in altri Paesi, più poveri, in India, in Ucraina …». Ma quanto avete pagato? «Ovviamente abbiamo pagato il ricovero che in America è molto costoso e poi tutte le cure mediche e le medicine, un rimborso per gli abiti prémaman, il rimborso per la lunga assenza dal lavoro, e infine una piccola cifra per la famiglia. Anche il marito, durante i nove mesi, si è spesso assentato dal lavoro. Fa l’operaio chimico».
Italia o Canada? Nichi e Ed hanno firmato molte carte private. Le famiglie arcobaleno hanno prodotto una nuova branca del diritto perché in Italia tutto finisce sempre ad avvocati. Nichi è il tutore. Poi chiederà l’adozione di Tobia, figlio del compagno. Molti tribunali la concedono, e si aspetta in questi giorni una sentenza della Cassazione. «Noi rispettiamo le leggi di ciascun Paese », dice Nichi. Ma, al di sotto della legge, in Italia, tra i tanti depositi della memoria collettiva, tra pulsioni omofobe e stracattolicesimo, c’è anche la vecchia retorica morbosa sul figlio della colpa, il feuilleton, i polpettoni di Amedeo Nazzari, i rotocalchi, Coppi e la dama bianca che solo fuggendo all’estero (Argentina) ottenne per il figlio il diritto al cognome del padre campione, e si va avanti stancamente sino a Maradona, Baudo, Sgarbi e persino Pannella… Oggi i figli della colpa sono quelli delle coppie omosessuali, dell’eterologa, della gestazione per altri. E il tranquillo Tobia Testa (forse) Vendola rischia di incarnare e di infiammare in chiave post moderna il peggio del ghigno popolare: «Ma non è detto che ci resteremo».