giovedì 16 giugno 2016

Repubblica 16.6.16
Tre sorelle a Tel Aviv tra memorie familiari e rapporto con la Storia
Il film Di Paolo D’agostini / La casa delle estati lontane

SIAMO nel 1995, nei pressi di Tel Aviv. Le tre sorelle Darel (la maggiore) che vive in Canada, Cali che vive in Francia, e Asia che vaga in cerca di se stessa e vuole partire per l’India, da tempo lontane tra loro e da Israele, si ritrovano nel villaggio natale di Atlit per vendere la casa di famiglia. I genitori sono morti in un incidente. La sola che inizialmente oppone resistenza è la maggiore, le altre due non vedono l’ora di chiudere la partita e di disporre di un po’ di soldi per i loro progetti. I giorni scorrono tra pranzi e discussioni, timidi interventi di pulizia del giardino inselvatichito e di riordino o cernita delle cose di cui disfarsi; tra contatti con l’esterno – il vecchio amico del padre veterano progressista, l’agente immobiliare che avvia una relazione con Darel, l’amico d’infanzia che corteggia Asia – e rievocazioni nostalgiche. Tra due contrappunti che condizionano i loro stati d’animo. Ciascuna, credendo di essere l’unica, dialoga con le apparizioni del padre (Pippo Delbono) e della madre, modelli di un’educazione libertaria e di uno stile di vita allegramente caotico, ora evocati con intenerita gratitudine ora come colpevoli di aver seminato insicurezza. Ma intanto qualcosa di grande sta accadendo intorno a loro in quegli stessi giorni.
Dopo aver siglato nel 1993 e sotto la benedizione di Bill Clinton l’epocale accordo di Oslo per il reciproco riconoscimento tra Stato d’Israele e Olp di Arafat e dopo essere stato insignito nel 1994 con il suo ministro degli esteri Shimon Peres e con Yasser Arafat del Premio Nobel per la pace, il premier laburista Yitzhak Rabin è oggetto di una violenta campagna di opposizione da parte dell’opinione pubblica conservatrice mentre un’altra parte della società israeliana si mobilita in grandi manifestazioni a sostegno del suo progetto di pacificazione. Quando le tre sorelle sono ormai prossime alla decisione di chiudere definitivamente un capitolo delle loro vite simboleggiato da quella casa e dalle memorie che contiene, ecco giungere la notizia – è il 4 novembre 1995 – dell’assassinio di Rabin da parte di un estremista religioso israeliano. Ciò che indurrà le giovani donne, sconvolte dalla brutale interruzione di un grande sogno e partecipi del lutto che condusse un milione di cittadini ad assistere ai funerali di stato, a dare un senso diverso alla loro visita sui luoghi dell’infanzia.
Se il finale, un po’ ovvio e condotto all’insegna del sentimentalismo, segna un calo nella resa del film, per il resto il risultato celebra – con la sua scelta dei toni – la migliore tradizione delle piccole storie che corrono parallele alla grande storia. La regista Shirel Amitay, qui alla sua prima prova, è stata attiva nel cinema francese come sceneggiatrice e aiutoregista al fianco di Jacques Rivette con il quale ha condiviso il tratto finale del suo percorso fino all’ultimo Questione di punti di vista. Le attrici. Géraldine Nakache (Cali) è francese figlia di ebrei algerini (e sorella del coregista di Quasi amici, Olivier). Yael Abecassis (Darel) è un’attrice e modella israeliana figlia di ebrei marocchini. E Arsinée Khanjian (la mamma) è un’attrice armena, moglie del regista armeno-canadese Atom Egoyan. Sia pur produttivamente non autosufficiente, la cinematografia israeliana dimostra da tempo fermento e vivacità creativa.