Repubblica 9.6.16
Due viaggi in un’Italia così vicina così lontana
I saggi-reportage di Marco Revelli e di Giorgio Boatti restituiscono una doppia immagine del Paese
di Benedetta Tobagi
Sono
arrivati in libreria, in contemporanea, due viaggi in Italia d’autore:
“Non ti riconosco. Un viaggio eretico nell’Italia che cambia” di Marco
Revelli (Einaudi) e “Portami oltre il buio. Viaggio nell’Italia che non
ha paura” di Giorgio Boatti (Laterza). Vi consiglio di leggerli in
parallelo, ne sarete sorpresi. A dispetto di quanto suggeriscono i
titoli, infatti, l’accoppiata non ripropone il trito match italico
ottimisti vs pessimisti. Diversissime tra loro, le opere sfuggono alla
trappola in cui cerca di cacciarci sovente la retorica governativa,
“gufi” contro “pensiero positivo” e danno vita piuttosto a una fuga a
due voci che induce il
lettore a esplorare le proprie ambivalenze e oscillazioni nei confronti della madrepatria.
Gli
autori sono quasi coetanei (Revelli è del 1947, Boatti del ‘48), tra
loro e con la neosettantenne Repubblica italiana. Questo dato
generazionale rende la ricognizione dei mutamento del Paese al tempo
stesso una riflessione sulla propria vita, più o meno sottotraccia
(Boatti concede più spazio al privato, aprendo squarci toccanti sulla
storia del fratello schizofrenico, sulla misteriosa “ricciolona” a cui
talvolta “il sole si spegne nella testa”). Entrambi percorrono la
penisola con l’attitudine del flâneur, facendo cioè del vagabondaggio –
eccentrico, non convenzionale, non sistematico – lo strumento principe
di conoscenza, ma ne riversano i frutti in narrazioni molto diverse.
Revelli non dismette l’habitus dello studioso di Scienza politica,
mentre Boatti col suo zainetto azzurro in spalla si muove dal Monferrato
a Matera leggero e spiazzante come il Matto dei Tarocchi.
I libri
s’innestano in modo significativo nel percorso dei due autori. Boatti,
noto come autore del testo-base sulla strage di piazza Fontana (è
storico, oltre che giornalista), è al terzo “libro di viaggio”, dopo
aver raccontato gli italiani tornati alla vita rurale in Un paese ben
coltivato e i monasteri (e “spaesati dintorni”) in
Sulle strade
del silenzio. Ma l’innesto da cui germoglia questo libro va cercato, mi
pare, un passo prima, nel saggio Preferirei di no del 2001, in cui
ricostruì le storie dei 12 professori (su un migliaio) che rifiutarono
di giurare fedeltà al fascismo. In un contesto non più tragico, punta di
nuovo i riflettori sulle scelte individuali capaci di prescindere dal
sistema. Seleziona storie positive nell’Italia della crisi, andando
contro persino, ammette in apertura, agli avvertimenti onirici del
proprio inconscio. Ma è opportuno ricordare che viaggiando per
monasteri, rinfrancato dalle “pagine imprecatorie” del Salterio, non
risparmiava “perenne e perentoria recriminazione” a molti pubblici
amministratori degli ultimi decenni. Sono i singoli individui, il
volontariato o l’impresa privata a mostrare scintille di cambiamento. Il
riscatto è possibile per chi ha il coraggio di una vita autentica, a
misura d’uomo – anche le esperienze imprenditoriali di successo sono
tali perché i loro protagonisti hanno saputo andare controcorrente in
solitudine. In questo senso, mi pare più efficace, e prezioso, nel
cogliere una verità atemporale, la resilienza della scintilla vitale che
sempre si oppone al disfacimento, piuttosto che “i segnali del nuovo”.
Marco
Revelli, figlio dello scrittore- partigiano Nuto, è un intellettuale di
sinistra, dalla giovinezza in Lotta continua alla recente avventura
della Lista Tsipras. Incarna una cultura politica battagliera e
volontarista che ha visto tradite troppe grandi speranze. Eppure, non si
arrende. Nei suoi saggi analizza le mutazioni e le forme della crisi
della politica, fino ai recenti La politica perduta e Finale di partito e
la ricognizione dolente dell’Italia impoverita in Poveri, noi. Il
viaggio ripercorre vicende significative della recente storia sociale ed
economica del Paese, dalla sventurata impresa della BreBeMi
all’epidemia di suicidi tra piccoli imprenditori colpiti dalla crisi,
all’Ilva di Taranto, tornando su passaggi difficilmente intellegibili, o
comunque presto dimenticati, nel flusso convulso della cronaca. Ad
apparirgli Unheimlich, perturbante, oggi, non è il paesaggio fisico, ma
quello umano, sociale. Il suo sguardo è spesso amaro, ma non cupo. Non
si mette in cammino, non si accanisce nel tentativo di analisi e
decodifica chi non spera più. “Non ti riconosco” lo esclama chi, pur
nello sconcerto, ancora ama, chi non è scivolato nell’indifferenza
torpida che accompagna il cinismo. E ciò che più tocca, la lezione
profonda di questo libro, è proprio il suo mettersi in viaggio, lui, non
più giovane, anziché abbandonarsi alle geremiadi o godersi la “rendita
di posizione”. Talvolta la nostalgia lo insidia, ma Revelli non vi
indulge. Fa i conti con illusioni e passate convinzioni, che si
sgretolano via via, fino al “punto di verità” estremo della Calabria.
Avvicina il reale con umiltà, curioso, senza pregiudizi, alla ricerca di
nuove chiavi di lettura. Perché senza un’attenta diagnosi e descrizione
come quella svolta da Revelli, i semi di speranza collezionati da
Boatti rischiano, come nella parabola evangelica, di essere mangiati dai
corvi o finire su terra rocciosa, anziché sul terreno buono.
Condividono la misura umana, questi due viaggiatori d’eccezione,
nipotini di Erodoto, e la “cultura del luogo” che, conclude Revelli
“permette a chi lo abita di rimanere – nonostante tutto – umano”.
Invitano a recuperare la conoscenza attraverso la ricognizione diretta
in un tempo disteso, a indugiare nella prossimità che vince il
pregiudizio, a guardare da vicino e riflettere con calma, in
controtendenza. Contro i gemelli chiassosi dell’ottimismo e del
disfattismo di superficie, funzionali solo allo scontro politico.