mercoledì 8 giugno 2016

Repubblica 8.6.16
La battuta d’arresto del renzismo
Se i ceti popolari dei quartieri periferici vanno al M5S significa che il Pd ha perso contatto con il suo elettorato tradizionale
di Piero Ignazi

FORSE il Pd ha ballato una sola estate. I risultati delle amministrative sembrano una fotocopia di quelle di cinque anni fa, non il prosieguo della marcia trionfale del 2014. Fa eccezione, in peggio, Roma: e dire che nella capitale si era votato nel 2013, in circostanze tutt’altro che favorevoli al partito dopo il flop delle politiche. Le percentuali che il Pd ha ottenuto sono grosso modo le stesse del 2011, in piena epoca bersaniana, con alcune variazioni in positivo o in negativo a seconda dei contesti locali. Il vento alto del renzismo trova qui la sua prima vera battuta d’arresto, molto più significativa del voto regionale dell’anno scorso. Sono proprio i voti alla lista del Pd quelli che mancano per poter coltivare l’illusione di aver conquistato il centro politico-elettorale del sistema. Quando a Torino, una città egemonizzata da quindici anni dalla sinistra e dalla sua buona amministrazione, con un sindaco stimato e apprezzato come Fassino, il Pd non ne raccoglie i frutti e viene raggiunto dal M5S (entrambi a quota 29 per cento), allora vuol dire che il marchio Pd ha perso smalto.
Seguendo il filo di questo ragionamento Renzi potrebbe, a giusto titolo, sostenere che solo un ulteriore, profondo, cambio nel/del partito consente di capitalizzare il rinnovamento della leadership nazionale. Lo stesso ragionamento vale anche per gli oppositori interni, benché con una visione opposta: è il rinnovamento che non va per il verso giusto. E in effetti qualche ragione ce l’hanno. Si guardi la mappa di Roma: il candidato del Pd, Roberto Giachetti, vince in solo due quartieri, Centro e Parioli. Vale a dire, conquista il voto borghese-benestante, acculturato e d’opinione. Ottimo biglietto da visita per un partito moderato, non per un partito che si vuole ancora di sinistra.
Se i ceti popolari dei quartieri periferici vanno al M5S — e in alcuni casi premiano la Meloni davanti a Giachetti — ciò significa che il Pd ha perso contatto con il suo elettorato tradizionale. E non ha colmato queste perdite con nuovi apporti. Il partito democratico ha accentuato i suoi caratteri socialmente borghesi e culturalmente libertari lasciando andare alla deriva le componenti popolari, già preda della illusione populista berlusconiana, e ora divise tra il rancore leghista e la pulsione anti-establishment del M5S.
Questo risultato riaccende il confitto interno al Pd perché sono in gioco scelte e strategie di fondo: insistere su una visione personalistica, del partito del leader, nella speranza che la debolezza degli altri competitor alla fine premi il Pd, oppure ricentrare l’appello su temi più ”labor-oriented”, più attenti ai problemi di quella maggioranza di italiani che, come dimostrava Ilvo Diamanti su queste colonne, si sente sempre più impoverita, e quindi più insicura? È questo il dilemma che, inaspettatamente, il primo turno delle amministrative pone con urgenza al Pd. In queste due settimane il partito democratico dovrà fornire una indicazione sulla strada che intende percorrere: continuare a puntare tutto sul referendum di ottobre — su cui l’interesse della classe politico-mediatica è inversamente proporzionale a quello dell’opinione pubblica — portando quindi al diapason la curvatura personalistica del Pd, oppure avviare un percorso di recupero del consenso dei ceti popolari.
Certo, un dato è ormai confermato: il Pd non attira i voti moderati, nonostante i mille messaggi inviati in quella direzione. Quindi, una leadership intelligente e dinamica deve comprendere che è indispensabile un cambio di rotta. Altrimenti si ritorna a lavorare in ditta… Che non è stata una esperienza esaltante. Finora, il Pd è riuscito ad evitare la crisi verticale che attanaglia tutta la sinistra europea grazie sia al rinnovamento della sua dirigenza sia al contemporaneo inabissarsi del suo avversario storico. Ma l’erosione continua del suo elettorato tradizionale, oggi andato in gran parte all’astensione come indicano i crolli nella partecipazione a Bologna e nella zona rossa, rende incerto il futuro dei democratici. Soprattutto se si pensa che il 40 per cento di coloro che hanno meno di 45 anni oggi si indirizzano verso il M5S.