La Stampa 8.6.16
Referendum tutti contro Renzi
di Ugo Magri
Visto
 attraverso gli occhiali del referendum costituzionale di ottobre, 
questo voto per i sindaci non promette nulla di buono. Perché domenica 
scorsa quasi due terzi del corpo elettorale hanno premiato i partiti del
 «no», dalla Lega a Forza Italia a M5S, mentre quelli favorevoli (Pd e 
relativi «cespugli») sono rimasti sotto il 40 per cento. Se l’Italia 
fosse ancora quella di trent’anni fa, quando le masse seguivano 
pedissequamente la volontà dei rispettivi partiti, dovremmo prepararci a
 un autunno di veri sconquassi: bocciatura al referendum della riforma 
Boschi e conseguente caos sulla legge elettorale, aggravato dalla crisi 
politica che le dimissioni del premier renderebbero inevitabili. Faremmo
 bene ad allacciarci da subito le cinture.
Si può obiettare che no, fortunatamente non è più come una volta, ormai la gente è matura e sa scegliere di testa propria.
Dunque
 sarebbe sbagliato prevedere l’esito del referendum in base alla 
semplice somma algebrica dei partiti a favore e contro. Inoltre, ecco 
l’altra obiezione, un conto sono queste Comunali, dove in gioco è il 
futuro delle città; altra cosa sarà il giudizio sulla nuova 
Costituzione, che chiamerà in causa la fine del bicameralismo e la 
riduzione dei parlamentari, oltre al rapporto tra Stato-Regioni. 
Mescolare due piani così diversi tra loro sarebbe come confondere le 
mele con le pere.
Eppure, fatti i necessari distinguo, rimane la 
sensazione che il voto di domenica non sia di ottimo auspicio per il 
«sì». In quanto tradisce un’insofferenza magari fisiologica, però 
presente un po’ dappertutto, a Napoli e a Bologna, a Roma e a Milano. 
Fotografa un clima di stanchezza che non aiuta chi ha l’onere di 
governare. Al confronto con le Europee 2014, quando il Pd aveva grandi 
praterie politiche davanti a sé, stavolta non è stata (non sarà nemmeno 
ai ballottaggi) una cavalcata solitaria del premier, il quale ha avuto 
l’onestà di riconoscerlo pubblicamente. Viceversa, la ventata populista 
mette le ali alla Raggi e rende competitiva la sua collega Appendino. 
Perfino il centrodestra dà cenni di risveglio, perlomeno là dove si 
presenta unito come a Milano. Non è merito di Berlusconi o Salvini, i 
quali anzi hanno fatto di tutto per perdere; dipende semmai dal contesto
 generale, dal «mood» collettivo un po’ più favorevole a chi rema 
contro.
Su questo malumore le opposizioni proveranno a far leva in
 ottobre. Punteranno sui sentimenti negativi, nella speranza che il 
ritorno dalle vacanze li moltiplichi per mille. La loro propaganda 
potrebbe dimostrarsi al dunque più efficace della narrazione renziana, 
avviata con largo anticipo. Ecco perché il voto di domenica allunga 
parecchie ombre sul verdetto di ottobre. Ed ecco come mai i fautori del 
«sì» non possono stare sereni.
Ma c’è uno strano paradosso che 
potrebbe scombinare ogni calcolo. Il paradosso si riassume in una 
semplice domanda: se Renzi si va indebolendo per effetto del contesto 
generale, e se questa sua debolezza rimette in corsa gli avversari, 
quale vantaggio possono avere le opposizioni a impantanare il sistema? 
Cosa ci guadagnerebbero a bocciare una riforma che permetterà a chi 
vince di governare per 5 anni senza pasticci e senza «inciuci»? Tanto 
Grillo quanto Berlusconi sono davanti a un bivio: possono puntare al 
pareggio mettendo la mina referendaria sotto la futura Costituzione; o 
mostrare fiducia in se stessi e tentare di vincere l’intera posta, 
accettando le nuove regole del gioco. Qualche piccolo segnale fa 
ritenere che una riflessione sia in corso, specie tra i Cinquestelle. O 
almeno tra quanti, di loro, provano a guardare lontano.
 
