Repubblica 8.6.16
Totti in campo per i Giochi ma dribbla Giachetti “Con la politica non c’entro”
di Filippo Ceccarelli
MA
 QUANTI voti porta Totti? O meglio: quanti ne portava prima che 
scattasse anche per lui la necessità del distinguo e della precisazione?
Comunque
 parecchi, evidentemente, se il fronte non solo romano del Pd si era 
ringalluzzito dinanzi al mezzo endorsement indiretto del Pupone.
La
 faccenda si è dispiegata attorno al derby, come ormai si dice, sulle 
eventuali Olimpiadi a Roma: il M5S strenuamente e fieramente vi si 
oppone (Raggi le ha definite un’idea «criminale »); mentre il 
centrosinistra senz’altro le vuole (per Giachetti sono «una grande 
opportunità»).
Ieri Totti, cui per la verità non poteva sfuggire 
la ricaduta elettorale del dilemma, ha dapprima espresso le sue più 
risolute preferenze: «L’ho detto e lo ripeto, da romano e romanista io 
sarò sempre orgogliosamente a favore delle Olimpiadi a Roma». Poi ha 
chiarito che «la politica non c’entra niente» e lui non vuole esserci 
tirato dentro.
A occhio, dietro alle due opzioni se ne può 
immaginare una terza che riguarda la costruzione del nuovo stadio della 
Roma. Anche qui il centrosinistra, insieme al Coni, al presidente 
giallorosso Pallotta e, come ovvio, al costruttore Parnasi, spingono 
forte forte per l’opera; della quale invece i grillini, pur con maggiore
 cautela rispetto ai giochi 2024, non sentono l’esigenza, tanto meno la 
priorità.
Ma se il tutto sembra confermare l’eterno valore 
politico dei circenses, è soprattutto il voto, o se si vuole il presunto
 omaggio votivo di Totti che in ogni caso marca di sè la questione, per 
giunta spostandola su un terreno dove è arduo stabilire confini certi 
fra l’opportunismo e l’idolatria.
Le maglie-reliquia, per dire, 
con immane casistica di reciproci e vezzosi regali fra potenti (da 
Andreotti a Renzi passando per D’Alema sotto i riflettori di Porta a 
porta). Come pure i corteggiamenti, le disdette, le polemiche o le 
affettuose consuetudini che in un modo o nell’altro hanno visto il 
campione romanista entrare in contatto con Rutelli e Bossi, come pure 
con Veltroni (moltissimo se si pensa che uno dei cuccioli di lupo del 
Bioparco è stato battezzato «Totti») o con Berlusconi che in un fasullo 
concorso per le migliori parodie elettorali comunque volle scegliere e 
premiare, nel 2001, lo slogan: «Meno tasse per Totti».
Saranno 
quasi vent’anni che la politica, sempre più debole, sempre più priva di 
legittimità, si aggrappa al culto del Pupone. O almeno ci prova a 
trasformarlo in garante e testimonial di mille cause perfino buone; lo 
invita e l’accoglie con i massimi onori additandolo come esempio di 
bontà e solidarietà, dai vecchietti alle carceri, dalla scuola alla 
raccolta fondi per il terremoto. Una specie di figura di raccordo 
para-istituzionale in epoca di politica pop.
Ma anche - e 
inconfessabilmente da parecchio tempo Totti è visto dal potere come una 
risorsa di cui appropriarsi per fini meno nobili di quanto appaiano. 
Quale portatore di un consenso così neutrale, rotondo, levigato e 
semplificato da non ammettere ostilità o controversie di sorta; perfetto
 in momenti come questo, tanto più efficace e spendibile in un contesto 
nel quale la militanza ha lasciato il campo alla tifoseria.
Tutto 
questo ovviamente prescinde dalla straordinaria avventura calcistica di 
Totti, così come dalle sue convinzioni politiche. È che il potere, nella
 sua foga anche parassitaria, coglie in lui, «il Re Leone», le virtù del
 mito, oltretutto stemperato in un carattere benevolo e di spontanea 
auto-ironia.
Ma ieri la macchina di colpo ha fatto tilt. «Non 
voglio essere strumentalizzato » ha detto. A suo modo anche nel suo caso
 è girato il vento.
 
