La Stampa 8.6.16
A Roma il Pd gioca la carta della paura
“Allarme economia se vincono loro”
Fassina non si schiera al ballottaggio, ma è rivolta a sinistra
di Carlo Bertini
A
 Roma di qui in avanti la tonalità dominante della campagna del Pd sarà 
una: la paura, o per meglio dire «l’allarme economico». Sarà questa la 
cifra per provare a instillare nei romani il timor panico di ciò che 
potrà succedere se i grillini saliranno al potere nella capitale. Il 
tema ricorre tra chi si occupa del dossier, dai membri del governo che 
non vogliono apparire troppo, fino ai big: prima di andare al meeting al
 Nazareno con Giachetti, i deputati romani e i candidati nei municipi, 
ne parla Matteo Orfini alla Camera: con i 5 Stelle al 35% i romani 
realizzeranno che può capitar loro la Raggi e cominceranno a pensare 
alle possibili conseguenze sul sistema economico cittadino.
I due target da conquistare
Pure
 il capo della campagna di Giachetti, Luciano Nobili, ammette che la 
cifra della paura ci sarà ma «c’è anche il problema di convincere la 
gente a uscire di casa e andare a votare». Il lavorio è capillare e sono
 stati individuati due fronti di debolezza su cui investire energie: nel
 bacino degli ultrasessantaquattrenni, la metà si è astenuto e molti di 
questi votavano un tempo per il Pd; e i ragazzi che votano Raggi, Meloni
 e Fassina.
Poi c’è il target del ceto borghese che ha votato i 
5stelle, ma che può spaventarsi di cosa può capitare. «O i dipendenti 
pubblici che aspettano gli accordi sul salario accessorio», racconta uno
 dei big presenti al meeting; «o gli artigiani che temono di non avere i
 loro soldi dopo le dichiarazioni sul debito capitolino». Certo poi c’è 
la consapevolezza che dei 750 mila elettori che vivono fuori dal 
raccordo «solo pochi ci hanno votato».
I compagni e Marchini
Anche
 per questo nel Pd si plaude alla rivolta dei quadri di Sel contro 
l’indicazione di Fassina di votare scheda bianca. «Noi sentiamo gli 
elettori, i territori e poi decideremo», dicono i candidati mini-sindaci
 sconfitti al primo turno. L’ex capogruppo di Sel in Campidoglio 
Gianluca Peciola parla di «sconfitta dura, di risultato disastroso per 
le aspettative create» e attacca il candidato di Sinistra Italiana: «Se 
c’è qualcuno che non ne comprende la gravità è un masochista». Dunque 
nel Pd si scommette sulla sinistra pronta al voto utile e sui consensi 
degli elettori di Marchini. Ma la mobilitazione dei propri sostenitori è
 il vero problema in ogni ballottaggio. Fattore non da poco: si fanno i 
conti e la speranza è che la Raggi abbia già fatto il pieno e possa solo
 calare. Tanto che Giachetti dice «a me i voti grillini e quelli della 
destra non mi fanno schifo».
Santa alleanza anti-Renzi
Il 
timore vero però è che vi sia un accordo non dichiarato tra grillini, 
leghisti e la destra «per scambiarsi il favore: Salvini voterà la Raggi a
 Roma e la Appendino a Torino sperando che loro restituiscano la 
cortesia facendo vincere Parisi a Milano, la vera piazza che gli 
interessa», spiega Ettore Rosato. Che come capogruppo e insieme a Zanda,
 Serracchiani e pochi altri, è uno dei candidati - stando ai rumors di 
Palazzo - a far parte della nuova segreteria che Renzi dopo i 
ballottaggi potrebbe varare per ribaltare gli assetti prima ancora del 
congresso: un organismo politico senza responsabili di dipartimento come
 è ora, ma composto da una decina di figure di maggior peso: che insieme
 e per conto del leader possano gestire la linea e l’organizzazione del 
partito. E quando Giachetti al Corriere dice che non è in programma una 
chiusura della campagna con Renzi, nel Pd scatta una reazione bivalente:
 tra chi fa un sospiro di sollievo, convinto che in questa fase il 
premier catalizzi più scontento che altro; e chi invece scommette che ci
 sarà eccome una manifestazione in piazza con Giachetti e Renzi nella 
volata finale.
 
