mercoledì 8 giugno 2016

Repubblica 8.6.16
“I partiti giocano in difesa così i millennials si rivolgono a chi parla la loro lingua”
Per Alessandro Rosina, demografo e autore del “Rapporto giovani”, la politica tradizionale è priva di una “vera offerta” alle nuove generazioni
Il movimento di Grillo viene scelto perchè si rivolge a chi è tagliato fuori dalla società
L’astensionismo è frutto di una incapacità cronica del Palazzo di parlare ai bisogni
intervista di Ettore Livini
Alessandro Rosina è professore di demografia e statistica sociale alla Cattolica di Milano

MILANO. L’Italia (della politica) non è un paese per giovani. Il motivo? «I partiti preferiscono giocare in difesa corteggiando le generazione più vecchie invece che andare all’attacco per conquistare i millenials.
E fanno un errore grave. Perchè chi prende il voto dei 18-30enni vince le elezioni, chi li dimentica le perde». Alessandro Rosina parla di un tema che conosce bene. E’ professore di demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano e da anni cura il “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, una delle fotografie più accurate dei ragazzi tricolori. Ha seguito con attenzione la campagna elettorale per i sindaci e si è convinto che anche questa volta non è cambiato nulla:«La politica (o almeno una sua buona parte) si è presentata al voto «senza una vera offerta per chi ha questa età». E oggi - a urne chiuse - si ritrova come tradizione a piangere sul latte versato. Lamentandosi di astensionismo e voto di protesta, «figli dell’incapacità cronica dei palazzi a parlare a un’intera generazione». Quella che - «tra mancanza di lavoro, welfare inesistente e zavorra del debito» - si porta sulle spalle il peso di problemi «che non ha certo creato lei».
Le difficoltà ad arrivare a una reale inclusione sociale («il 26% dei ragazzi oggi non studia, non lavora e non fa formamazione », ricorda amaro Rosina) non è diventata - contrariamente alla vulgata - la scusa per snobbare la partecipazione alla vita sociale del paese. Anzi: «Tra i ragazzi di oggi c’è grande voglia di scendere in campo, basta vedere il loro impegno nel volontariato». Una ventata d’energia che però in pochi («forse solo il Renzi dei primi tempi e il Movimento 5Stelle ora») provano ad intercettare. Le ragioni, dice Rosina, sono tante. La prima è una questione di comprensione. «L’identikit “politico” dei giovani è completamente diverso da quello delle generazioni precedenti - spiega -. Gli elettori più maturi hanno un senso d’appartenenza accentuato e sono elettoralmente “catalogati” e prevedibili. Votano per principio. E se non vanno alle urne è perchè hanno ragioni importanti per non farlo». Con i millennials le cose vanno in senso opposto: «Votano solo se hanno motivi forti per farlo. Se no stanno a casa - continua - . Non sono più legati a ideologie, non aderiscono acriticamente a partiti o organizzazioni appoggiandoli in toto le loro proposte per puro senso di appartenenza». Rifiutano insomma i pacchetti chiusi «e si mobilitano solo su temi specifici e battaglie che li convincono, come quelle su giustizia sociale e ambiente».
E’ un voto fluido, sfuggente e mobile. Ma proprio per questo fondamentale per chi vuole vincere le elezioni. «I millenials sono la categoria di elettori più corteggiata. Senza il loro voto Obama non sarebbe mai stato presidente Usa e Podemos in Spagna non avrebbe il successo che ha. Senza la loro mobilitazione, la protesta contro la Loi travail di questi giorni in Francia non sarebbe mai decollata».
L’Italia però, almeno quella dei palazzi, sembra non essersene accorta. Più che altro - dice Rosina - per conformismo :«Rivolgersi a loro è molto più faticoso che corteggiare mondi che conosci molto meglio. Specie in un paese che invecchia». Qualcosa ogni tanto si muove, come con Garanzia Giovani. «Ma sono progetti che partono senza capire davvero di cosa ha bisogno chi ne dovrebbe beneficiare », dice Rosina. E, non a caso, stentano a decollare.
La mancanza di coinvolgimento è la chiave per capire il distacco tra queste generazioni e i partiti. «I nostri ragazzi girano il mondo, vedono che all’estero ci sono realtà ricche di possibilità e scelte. In Italia invece li abbiamo schiacciati tra l’alternativa della fuga o la necessità di ridimensionare i propri sogni per sopravvivere. Vorrebbero cambiare il paese. E invece sono fuori dai radar della politica. Costretti al massimo a difendersi da quello che non funziona e a protestare contro quello che va contro i loro interessi».
Matteo Renzi, per età, linguaggio e contenuti, sembrava l’occasione per voltare pagina. «Ma non basta usare le loro tecnologie, parlare come loro ed essere empatico. Bisogna portare risultati concreti - dice Rosina-. Lui ha provato con il Jobs Act a lottare contro la precarietà, uno dei temi più sentiti dai ragazzi. Ma la gravità dei loro problemi richiede un successo della riforma in tempi rapidi». Che ad oggi fatica a concretizzarsi. Il premier poi ha fatto un altro errore: «Ha rottamato la vecchia politica per chiudersi in un altro cerchio ristretto. Se fai così puoi conquistare i ragazzi solo in un modo: facendo subito le riforme e gli interventi di cui hanno bisogno». Se non arrivano, loro vanno a cercare offerta politica altrove. «E oggi si orientano sui 5Stelle - conclude Rosina -. Sono nuovi, si rivolgono a chi è tagliato fuori dalla società e i ragazzi cercano questo: visibilità e poter essere parte attiva di un progetto di cambiamento. Anche sbagliando. Ma da protagonisti». Le vecchie generazioni hanno avuto le loro occasioni per cambiare l’Italia. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora quello che chiedono i millennials per riappassionarsi di politica è «qualcuno che dia loro la possibilità di provarci davvero».